Romano Summa
Emigrazione e lavoro nella
letteratura italiana contemporanea:
una lettura ecocritica
Nell’ambito della proliferazione negli ultimi dieci anni di opere letterarie italiane incentrate sul tema del lavoro, una tematica che ha interessato particolarmente gli scrittori è quella della connessione tra emigrazione ed esigenze lavorative. Tali scrittori mettono l’accento, in maniera molto realistica, sul malessere di coloro che soffrono un’alienazione doppia, causata da un lato dalle proprie condizioni lavorative, e dall’altro dal loro status di migranti. Se l’alienazione dei migranti e dei lavoratori in letteratura è stata spesso analizzata in chiave storica o sociologica, mi piacerebbe invece « azzardare » una lettura ecocritica. In che modo però coniugare l’ecologia con i temi del lavoro e dell’emigrazione? Un primo ostacolo a questo tipo di analisi critica sta nella tendenza generalizzata a limitare l’ecologia alla sola «ecologia ambientale ». Chi ha avuto il merito di analizzare con lucidità questa tendenza è stato il sociologo francese Felix Guattari: «Credo che la stessa parola «ecologia » sia molto ambigua. Di solito, infatti, diventa sinonimo di mera «ecologia ambientale , ma questa equivalenza o sinonimia non è affatto scontata. Si tratta anzi di una riduzione, o meglio di una territorializzazione negli schemi dominanti »1.
Per far fronte al pericolo di una sorta di reductio ad unum, nel suo libro Les trois écologies2 egli supera il concetto di « ecologia » in favore di quello più ampio di « ecosofia », nel quale convergono anche l’ecologia sociale e l’ecologia mentale. L’ecosofia non prevede l’abbandono dell’ecologia ambientale ma, al contrario, la continua concatenazione di quelle che Guattari chiama « le tre sfere ». Si tratta di reinventare al tempo stesso l’ambiente, i rapporti sociali e la costituzione delle soggettività e dei legami intersoggettivi. La problematica dell’alienazione dei lavoratori e dei migranti si situa quindi sia nell’ecologia sociale, in rapporto alle realtà sociali ed economiche, che nell’ecologia mentale, in rapporto alla psiche.
Il fenomeno della delocalizzazione delle industrie in Se consideri le colpe (2010) di Andrea Bajani
Un romanzo che ci mostra l’urgenza di agire in maniera congiunta su queste tre ecologie, è l’opera Se consideri le colpe3 (2010) dello scrittore romano Andrea Bajani. È un romanzo molto realista, che tratta il tema dell’emigrazione nei paesi più poveri del pianeta.
Il libro è scritto sotto forma di lettera, una lettera scritta dal bambino Lorenzo a sua madre Lula. Ella è una tra le numerose italiane che partono all’estero per spostarvi le proprie imprese, precisamente in Romania, destinazione sempre più frequente tra gli imprenditori italiani.
Il romanzo è centrato sul breve soggiorno del bambino in terra rumena, che Bajani ci fa conoscere attraverso i suoi occhi. La narrazione inizia proprio nel momento in cui Lorenzo sbarca all’aeroporto di Otopeni per assistere ai funerali di sua madre, la quale qualche anno prima aveva abbandonato lui e suo marito in Italia, per tentare di fare fortuna in Romania.
Lo scambio di flussi migratori fra Italia e Romania rappresenta una tematica più che mai attuale. L’emigrazione rumena in Italia è iniziata a partire dal 1989, dopo la rivoluzione rumena e la conseguente chiusura della fabbriche, e continua incessante fino ai giorni nostri. Secondo stime della Caritas Italiana 4, i rumeni in Italia attualmente sarebbero più di un milione, ossia la presenza straniera più numerosa sul territorio italiano. E sono spesso impiegati in lavori massacranti, in condizioni che rasentano la schiavitù, come i lavori nell’agricoltura, ben descritti nelle testimonianze degli autori Marco Rovelli in Servi5 e Alessandro Leogrande in Siamo uomini o caporali6.
L’emigrazione italiana in Romania presenta due fasi. La prima è una breve parentesi tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, quando gli italiani erano in cerca di umili lavori .
La seconda fase è quella contemporanea, presa in esame da Bajani nel presente romanzo. È un’emigrazione dovuta al fenomeno della cosiddetta « delocalizzazione »: gli imprenditori italiani spostano le proprie industrie verso territori che permettono loro di trarne profitto, grazie soprattutto a manodopera a basso costo e mancanza di leggi contro l’inquinamento.
La Romania allora, così i come essa viene dipinta nel romanzo, non è altro che una terra di conquista, un territorio magico che offre possibilità di redenzione agli italiani in crisi.
Bajani rappresenta con realismo l’intervento distruttore dell’uomo sulla natura: al momento del suo arrivo in Romania la prima scena che si offre agli occhi del bambino è l’immensa campagna interrotta in maniera violenta dai capannoni industriali. Gli attuali imprenditori, ci mostra lo scrittore, sono sostanzialmente disinteressati alla rottura dell’ecosistema. Il personaggio Anselmi, ex socio della madre di Lorenzo, guarda anzi con un certo orgoglio all’espansione dell’industria ai danni della natura:
« In questa zona se arrivi in aereo vedi solo noi. Secondo me ci vedono anche dalla luna, ha aggiunto, o dal satellite, come la muraglia cinese. Vedono questa campagna, e poi in mezzo alla campagna vedono noi. »7.
Da questa citazione si evince l’intima relazione tra ecologia ambientale, ecologia sociale e mentale: ogni forma di solidarietà con gli autoctoni è spazzata via: gli imprenditori descritti da Bajani considerano i rumeni solo in base alle loro capacità di produzione, e hanno l’arroganza di farsi latori di nuovi valori: « Vedi, diceva indicando l’operaio in transito, prima non erano capaci a lavorare, adesso guarda. Gli abbiamo tolto il Medioevo dalla testa, a questa gente »8.
Il tutto è filtrato nel romanzo dagli occhi di Lorenzo, che per la sua tenera età è ancora avulso da questo tipo di logiche. Bajani è un autore molto attento a curare gli aspetti psicologici dei suoi personaggi, per cui in tutto il romanzo egli fonda il pathos narrativo sul contrasto tra la visione «pura» del bambino, il suo naturale bisogno di affetto e protezione, e quella avida e corrotta degli imprenditori italiani, interessati solo al profitto. È dunque la volontà di possedere sempre di più che distrugge con la stessa intensità il paesaggio e i legami intersoggettivi. Riprendo ancora una volta Guattari:
L'immensa macchina che minaccia e distrugge l'ambiente, questo disastro planetario annunciato una volta ancora in Giappone, questo carattere autodistruttivo dell'organizzazione capitalistica, sono infatti logicamente inseparabili dalla logica dell'iperproduzione, dall'ossessione dello sviluppo, e sono animati dai fantasmi del progressismo. Si tratta di un processo che è sempre sociale e che struttura, fin nell'intimità, l'esistenza dei soggetti. Non esiste dunque un ambiente minacciato, un ambiente di cui dobbiamo prenderci cura, che non sia già sempre sociale ed esistenziale.La risposta, pertanto, non può che essere triplice: reinvenzione dell'ambiente e dei rapporti con ciò che ci circonda, mutazione del campo sociale, nascita di nuove soggettività9.
Nel romanzo vi è un passaggio in particolare che è sintomatico della deteriorazione dei legami intersoggettivi. Quando Lorenzo si ritrova nell’ufficio dell’ex-socio Anselmi, questi, anziché consolarlo per il lutto che lo ha appena colpito, cerca in tutti i modi di farsi vendere una parte delle quote dell’impresa di sua madre. Ma a questa proposta segue un rifiuto secco e deciso. Per la prima volta Lorenzo, che fino ad allora non era stato capace di tirare fuori la voce, prende posizione contro la corruzione di questo mondo. E poiché l’episodio si trova quasi alla fine del romanzo, si potrebbe interpretarlo come un messaggio di speranza che Bajani ha voluto lasciare. Spetta ai giovani opporsi all’attuale processo di disumanizzazione e riportare gli aspetti « ecologici » come valori primari della nostra società.
Essere «stranieri» nelle proprie terre: Senzaterra (2008) di Evelina Santangelo
La scrittrice siciliana Evelina Santangelo si è occupata nel suo romanzo Senzaterra10(2008) soprattutto di ecologia sociale. Il romanzo, situato in una non precisata città di mare della Sicilia, racconta un altro tipo di emigrazione. Questa volta si tratta dell’emigrazione disperata di coloro che abbandonano la propria terra natale a causa della mancanza di opportunità concrete di lavoro. Il protagonista di quest’opera è Gaetano, ragazzo di diciott’anni che vive con la paura costante di essere «strappato» dalle sue terre da parte del padre, che vuole portarlo con sé in Germania, dove sogna l’apertura di un bar col suo aiuto. Il romanzo trae la propria forza narrativa proprio da questo contrasto: la volontà del padre di emigrare, e quella del giovane che vuole invece restare a tutti i costi. Nella prima parte dell’opera osserviamo proprio i tentativi disperati del padre che cerca di convincere il figlio a «scappare» con sé, e l’ostinato rifiuto di questi. Inutile per Gaetano rivolgersi ad amici, famigliari, conoscenti: tutti sono concordi nello screditare la Sicilia e nel vedere la Germania come una sorta di Eden, in quanto in grado di offrire lavoro.
La Santangelo è un’attenta indagatrice della realtà sociale siciliana: ella si chiede nelle pagine di questo romanzo se è possibile costruirsi un futuro in quelle terre oppure se l’emigrazione costituisce l’unica soluzione di fronte a mali endemici della regione, quali mancanza di lavoro, corruzione e presenza di associazioni criminali organizzate.
Gaetano, forse a causa della sua giovane età, rifiuta categoricamente di entrare in questo tipo di logica. Non vuole affatto arrendersi: per lui può e deve esserci un futuro degno nella stessa terra in cui si è nati. Egli sogna di laurearsi in Sicilia e restarvi a lavorare.
Ma la Sicilia è, secondo la dura visione della Santangelo, una terra maledetta, una terra senza speranze. I suoi personaggi sono quasi dei «vinti» di verghiana memoria, che si esprimono proprio come loro, cioè in un italiano impastato di sintassi e lessemi propri del dialetto siciliano. Ma, a differenza dei « vinti », l’evoluzione sta proprio nel considerare l’emigrazione come mezzo di salvezza. Se infatti per il celebre padron Ntoni dei Malavoglia11 l’espressione massima di felicità consisteva nel morire nella stessa casa in cui si era nati, ecco invece come si esprime la zia di Gaetano nel romanzo della Santangelo: « ..i carusi s’hanno a fari la loro strada…In Germania, come tò patri, o…dove capita, lontano di ‘stu paìsi. Ascoltala, a tò zia, Gaetà. Che lu sapi bonu…tò zia…cosa significa arristàri accà ».12
Secondo quest’ottica dunque non è tanto importante il paese di destinazione, quanto proprio l’idea di fuggire da terre che sembrano maledette. Nonostante tutto questo, il ragazzo resta fermo nella sua decisione di non partire, manifestando quasi una certa paura nei confronti dell’emigrazione, e più precisamente nella figura del migrante: « E secondo te, ora io mi metto a fare l’emigrante, come quei disgraziati che….A fare cosa, poi ! »13 dichiara al suo amico Liborio, con un’evidente allusione agli immigrati che arrivano in Sicilia alla disperata ricerca di un lavoro, soprattutto in provenienza della Romania e dell’Africa del Nord, e finiscono spesso per essere sfruttati e maltrattati.
Tuttavia per restare Gaetano è costretto a trovare un lavoro che possa giustificare la sua permanenza e grazie al quale egli possa pagare i suoi studi. La Santangelo mostra quindi, nella seconda parte del romanzo, quello che accade spesso quando dei giovani meridionali sono alla ricerca di lavoro. Una delle poche possibilità quasi sicure di guadagnare dei soldi è quella di impegnarsi in piccoli lavori collegati ad attività pseudo-criminali. Gaetano è ad esempio impiegato in un’azienda agricola come contabile, ma in realtà il suo vero ruolo è quello di gestire il registro segreto che contiene i dati dei lavoratori clandestini.
Anche per quanto riguarda il lavoro dunque, regna una mentalità di matrice mafiosa: bisogna rispettare la legge dell’omertà, bisogna tenere la bocca chiusa ovvero non parlare con nessuno di ciò che si ascolta. Per ottenere questo lavoro, tutto ciò che bisogna fare è adattarsi. È evidente qui come il romanzo contemporaneo può avere un ruolo di indagine sociale.
Proprio nel corso di questa esperienza lavorativa, la storia di Gaetano si incrocia con un’altra storia di emigrazione, quella del giovane nord-africano Alì, che lavora nella stessa azienda come operaio, sfruttato come un animale, al pari di altri extracomunitari. Sono giovani che lavorano a ritmi frenetici tutta la giornata sotto il sole cocente, e che alla fine della giornata sono lasciati, sfiniti, nei capannoni dove dormono.
Esasperato dalla visione di queste scene, alla fine il ragazzo chiamerà la polizia di nascosto, procurandosi i sospetti del proprietario e il successivo licenziamento. Il romanzo si conclude quindi con una duplice fuga: quella di Alì, che scappa dall’azienda agricola e dalla polizia, e quella di Gaetano, che invece rifiuta all’ultimo momento di entrare nel pullman per la Germania con il padre. Entrambi sono accomunati dal senso di crisi dell’appartenenza al tessuto sociale. Entrambi sono dei senzaterra. Non solo l’africano Alì, ma anche lo stesso Gaetano, come spiega la stessa Santangelo.
È la mancanza di prospettive verso il proprio futuro che fa sì che si possa essere dei senzaterra anche nella propria terra d’origine. L’autrice ha spiegato il significato del titolo del proprio romanzo; le parole che ella usa (soprattutto il riferimento al rapporto tra il soggetto e la propria terra di appartenenza) sono un chiaro richiamo alla necessità di un’ecologia sociale:
Nella terra bisogna che ci si riconosca, per poterla definire la propria terra, magari prendendo le distanze da tutto ciò che ci sembra umili l’idea stessa di cittadinanza, e che fa di alcuni di noi « ospiti » in casa propria, come dice il padre di Gaetano, «ospiti» che devono starsene quieti «al loro posto» e «accontentarsi», ridimensionando le proprie aspirazioni...Che cos’è questo, se non un modo per negare cittadinanza ai giovani, che dovrebbero invece essere stimolati a «non accontentarsi mai?
Il duplice malessere da «emigrante» e da «operaio»: Milano non esiste (2009) di Dante Maffia
Lo scrittore calabrese Dante Maffia, invece, affronta la connessione tra lavoro ed emigrazione riprendendo tematiche care alla vecchia letteratura industriale italiana.
Il protagonista del suo romanzo Milano non esiste14 (2009) è un emigrante calabrese, che lavora da quarant’anni a Milano come operaio. Egli rappresenta un prodotto del cosiddetto ‘boom economico’, periodo che cominciò alla fine degli anni ’50 e fu caratterizzato dalla prepotente crescita industriale dell’Italia del Nord a scapito del Sud che restava invece legato all’agricoltura e sostanzialmente povero e privo di grandi infrastrutture. A partire da questo momento si iniziò a registrare un flusso migratorio dal Sud verso il Nord che continuò per diversi decenni. Al pari di tanti altri meridionali, il protagonista del romanzo emigra in giovane età, spinto dalla miseria e allettato dalla forte domanda di operai non qualificati nelle grandi industrie del triangolo industriale. Dante Maffia illustra, attraverso questa figura, il disagio degli immigrati del Sud Italia che svolgevano nel Nord dei lavori massacranti, come gli operai nella catena di montaggio, ed erano spesso mal pagati. Essi si trovavano poi a vivere in una società del tutto diversa rispetto a quella che avevano lasciato, oltreché spesso poco disposta ad accoglierli.
Per queste ragioni il protagonista e voce narrante, prossimo al pensionamento, fa di tutto per tornare definitivamente nella sua Calabria insieme alla famiglia, che si oppone ai suoi progetti di partenza con la stessa tenacia del Gaetano della Santangelo. Il romanzo non è altro che la descrizione dei suoi sforzi per convincere la famglia ad emigrare in Calabria, terra nella quale può ritrovare una propria dimensione, ma anche il contatto e il dialogo con l’alterità, uno degli aspetti che più stanno a cuore a Guattari .
A Milano invece si sente a disagio, mal visto e quasi inesistente. Questo è dovuto al suo duplice status. In primis quello di operaio: « Ma a chi volete che gliene importi di noi operai? Noi siamo anonimi, camminiamo e non ci vede nessuno (e se ci vedono, è solo per rimproverarci di qualcosa) » 15.
Cui si aggiunge quello di emigrante: « Io, dopo circa quarant’anni sono rimasto il povero meridionale impacciato, di una razza inferiore, un terrone da relegare in un recinto, nella riserva come gli indiani in America » 16.
Egli ha vissuto tutta la vita un senso di estraneità verso la società che lo ha ospitato; il suo unico conforto è stato l’attesa dell’emigrazione di ritorno. Contemplare in stazione la partenza del treno Milano-Crotone diviene un occasione per affermare l’esistenza negatagli.
Come per la Santangelo, l’emigrazione riveste tratti salvifici. Se però nel primo caso « salvarsi » significa entrare nella società del lavoro, cioé emigrare in Germania, in questo romanzo avviene il contrario: per « salvare » se stesso e soprattutto i suoi cari, non c’è altra soluzione per il protagonista che uscire da un mondo perverso in cui le logiche di produzione industriale hanno rovinato persino le normali relazioni tra le persone. L’emigrazione si pone quindi come un tentativo di reagire alla perdita di soggettività che l’iperproduzione e il consumismo genera negli individui, paradosso che Guattari spiega con queste parole:
Mais l’époque contemporaine, en exacerbant la production de biens matériels et immatériels, au détriment de la consistance des Territoires existentiels individuels et du groupe, a engendré un immense vide dans la subjectivité qui tend à devenir de plus en plus absurde et sans recours.17
L’iperproduzione ha avuto conseguenze disastrose sullo stesso territorio, in primo luogo sull’ecologia ambientale. Maffia, riprendendo tematiche care a Pasolini18, si oppone al cosiddetto «accanimento industriale» che ha colpito molte città industrializzate del Nord. Milano, ad esempio, è la città dove, anche sotto il profilo urbanistico ed ambientale, le esigenze della produzione hanno avuto la meglio su quelle dei cittadini.
Ecco un estratto in cui l’autore ripropone con forza il problema dell’attenzione verso l’ambiente: « Hanno creato quest’inferno senza aria, senza verde, migliaia di persone che si accalcano nei portoni e vivono come i topi. Non hanno mai pensato che gli uomini hanno bisogno degli alberi per campare, del verde, del mare » 19.
Un modo di opporsi alla società industriale è la ricerca della bellezza e di una sorta di emozione estetica, che il protagonista trova nella contemplazione del mare o del profumo di un fiore20. Questa esperienza estetica conferisce alla prosa di Maffia un certo lirismo, come nelle pagine che evocano la sua Calabria come una sorta di paradiso perduto e mondo idealizzato, che egli rimpiange in tutto il romanzo.
Di fronte all’impossibilità di convincere la famiglia a stabilirsi definitivamente in Calabria, il personaggio di Maffia sceglie una soluzione radicale: il ritorno solitario nelle sue terre, in attesa che la famiglia lo raggiunga quanto prima.
In realtà la famiglia non ha alcuna intenzione di raggiungerlo, e inoltre egli trova un mondo diverso da quello idealizzato nei suoi ricordi. Soffre dunque per i cambiamenti riscontrati nella sua terra e per la mancanza della famiglia e finisce quindi per subire una lenta ma inesorabile pazzia, che si manifesta attraverso comportamenti bizzarri e soprattutto il fischiare di treni nella sua testa.
Quest’ultimo dettaglio fa venire in mente la celebre novella pirandelliana Il treno ha fischiato21, il cui protagonista era anch’egli un lavoratore alienato. La pazzia perciò potrebbe essere intesa, in termini pirandelliani, come l’impossibilità di coniugare forma (le «regole» imposte dalla società industriale) e vita (il mondo idealizzato della Calabria antica). Seguendo un’altra ottica, – in questo consiste la vera «sfida» ecologica – potremmo vedere nella follia del protagonista una riflessione sull’ ecologia mentale: essa sarebbe la conseguenza della mancata ri-singolarizzazione del soggetto di cui parla Guattari, ovvero l’impossibilità di coniugare non più soltanto o semplicemente forma e vita, bensì individualità e soggettività22.
BIBLIOGRAFIA
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1. A. Cavalletti, “Intervista impossibile con Felix Guattari», Intervista Impossibile, in http://ecowebtown.eu/n_1/it/cavalletti_it.html, (consultato il 10.11.2013) .
2. Cfr. F. Guattari, Les trois écologies, Paris, Editions Galilée, 1989.
3. A. Bajani, Se consideri le colpe, Torino, Einaudi, 2010.
4. Cfr. Caritas Italiana, Immigrazioni e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive, Roma, IDOS, 2008.
5. Cfr. M. Rovelli, Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro, Milano, Feltrinelli Editore, 2009. Si tratta di un’indagine narrativa in cui l’autore, in seguito alle interviste alle vittime della vicenda, mette in luce l’universo dei clandestini al lavoro, dalle campagne del Sud ai grandi cantieri del Nord, ridotti spesso in condizioni di semi-schiavitù. Sono inoltre quasi impossibilitati a ribellarsi a causa della mancanza di leggi specifiche che li tutelino, e sono facilmente ricattabili dai datori di lavoro grazie alla sottrazione di documenti e delle buste paga concordate;
6. Cfr. A. Leogrande, Siamo uomini o caporali, Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Milano, Mondadori, 2008. L’autore si sofferma specificatamente sul lavoro in campagna, utilizzando un taglio prettamente giornalistico, e analizzando tutti i protagonisti della vicenda. Emerge un quadro molto ampio in cui i rumeni stanno sostituendo i polacchi nel lavoro in campagna, ridotti come schiavi e vittime di un vero sistema di ‘caporalato’.
7. Ibidem. p. 10.
8. A. Bajani, op. cit., p. 10.
9. A. Cavalletti, “Intervista impossibile con Felix Guattari», Intervista Impossibile, (http://ecowebtown.eu/n_1/it/cavalletti_it.html, conultato 10.11.2013)
10. E. Santangelo, Senzaterra, Torino, Einaudi, 2008.
11. Cfr. G. Verga, I Malavoglia, [1881 ], Milano, Feltrinelli Editore, 1993.
12.E. Santangelo, op. cit., p. 120.
13. Id., p. 67.
14. D. Maffia, Milano non esiste, Hacca Editori, Matelica (Mc), 2009;
15. Id., p. 33.
16. Id., p. 42.
17. « Ma l’epoca contemporanea, esacerbando la produzione dei beni materiali ed immateriali, a scapito della consistenza dei Territori esistenziali individuali e di gruppo, ha generato un immenso vuoto nella soggettività che tende a divenire sempre più assurdo e senza rimedio» (F. Guattari, Les trois écologies, Galilée, Paris, 1989, p. 39).
18. Cfr. P. Pasolini, Petrolio, Torino, Einaudi, 1993, pp. 323-387. Nel capitolo dedicato alle visioni del personaggio Merda, Pasolini rappresenta in forma allegorica i mali dell’Italia contemporanea. Appare centrale, in rapporto al «boom economico» il tema della “trasformazione-involuzione» della società italiana. Tra gli aspetti più denunciati si trovano quello dell’omologazione, della perdita di identità culturale e quello dell’accanimento edilizio nelle realtà industrializzate.
19. D. Maffia, op. cit., p. 53.
20. « Voglio tornare ad essere un uomo libero, davanti al mare, ritornare a sentire i cambiamenti del vento, gli odori dei gelsomini e delle rose canine a primavera. Qui non ho mai sentito il profumo di un fiore... » (Ibidem).
21. Cfr : L. Pirandello, Il treno ha fischiato, in Novelle per un anno, Roma, Newton Compton Editori, 2012.
22. Cfr. a questo proposito F. Guattari, Les trois écologies, op.cit, p. 24 : « Mais plutôt que de sujet, peut-être conviendrait-il parler de composants de subjectivation travaillant chacune plus ou moins à leur propre compte. Ce qui conduirait nécessairement à re-examiner le rapport entre l’individu et la subjectivité et, en tout premier lieu, d’en séparer nettement les concepts. Ces vecteurs de subjectivation ne passent pas nécessairement par l’individu ; lequel, en réalité se trouve en position de « terminal » à l’ égard de processus impliquant des groupes humains, des ensembles socio-économiques, des machines informationnelles, etc. Ainsi, l’intériorité s’instaure-t-elle au carrefour de multiples composantes relativement autonomes les unes par rapport aux autres et, le cas échéant, franchement discordantes ». (« Ma invece di soggetto, forse converrebbe parlare di componenti di soggettivazione che agiscono tutte più o meno per proprio conto. Cosa che condurrebbe necessariamente a ri-esaminare il rapporto tra l’individuo e la soggettività e, in primo luogo, di separare nettamente i concetti. Questi vettori di soggettivazione non dipendono necessariamente dall’individuo; il quale in realtà si trova in posizione di ‘terminal’ nei confronti dei processi che implicano i gruppi umani, gli insiemi socio-economici, le macchine di informazione etc. Cosi, l’interiorità si instaura all’incrocio di molteplici componenti relativamente le une dalle altre e quindi, all’occorrenza, discordanti».