Un romanzo d'inchiesta e di impegno civile :
Perdas de fogu di Massimo Carlotto
di Massimo Tramonte[1]
Se ho avuto un sogno, è stato quello di dimostrare che la parola letteraria ha ancora il potere di cambiare la realtà. (Roberto Saviano)
Occorre violentemente attirare l'attenzione sul presente così com'è, se si vuole trasformarlo. (Alberto Asor Rosa)
Nel 2008, l'anno in cui Carlotto pubblica Perdas de fogu (E/O editori, Roma) ,il collettivo di scrittori Wu Ming proponeva un « memorandum » New italian epic (NIE), « letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro », che partiva dal presupposto che in Italia esiste un nucleo di scrittori « ….in viaggio almeno dai primi anni novanta. In genere scrivono romanzi, ma non disdegnano puntate nella saggistica e in altri reami e a volte producono oggetti narrativi non identificati ». Oggetti come Romanzo criminale di De Cataldo, che esce nel 2002 e Gomorra di Saviano, che esce nel 2006, ai quali io aggiungerei, appunto, Perdas de fogu di Carlotto e di un collettivo di scrittori, Mama Sabot. Secondo i Wu Ming «...questi scrittori non formano una generazione in senso anagrafico…, condividono segmenti di poetiche, brandelli di mappe mentali e un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi o per strada o dove archivi e strada coincidono[2] ».
Il dibattito a partire dal « memorandum » di Wu Ming è diventato poi generale entrando anche nelle università, soprattutto fuori dall'Italia, e per molti critici ha significato « il ritorno del reale » (e del « sociale ») nella letteratura italiana. Nel 2008 la rivista Allegoria dedica un numero intero, il 57, a questo dibattito e i curatori Raffaele Donnarumma, Gilda Policastro e Giovanna Taviani legano « il ritorno alla realtà » ai numerosi e innegabili « segni di un esaurirsi delle poetiche postmoderniste » anche se continua, secondo Donnarumma « una persistenza postmoderna, che si rifa a modelli statunitensi ». Vengono citati alcuni autori, ma non Saviano, De Cataldo, Carlotto, tra cui Giuseppe Genna[3].
Genna, un autore di romanzi noir, in un'intervista diceva che «...l'Italia esprime la letteratura più all'avanguardia dei paesi industrializzati. Il suo contesto incivile implica una resistenza attiva, inventiva, una guerriglia umanistica... ». Quello stesso anno usciva un Almanacco Guanda intitolato Il Romanzo della Politica. La Politica nel Romanzo. Certo venivano citati precedenti illustri come Leonardo Sciascia o il Pasolini di Petrolio ma, conveniva il curatore dell'Almanacco Ranieri Polese, « questo processo di riappropriazione del reale dopo la stagione della « letteratura bonsai », come la definiva Goffredo Fofi (scrittori ripiegati sul proprio ombelico, minuscoli casi di un privato racchiuso tra due camere e cucina, ripetitivi giochi d'amore consumati tra due/tre personaggi intercambiabili) è ormai un fatto evidente[4]. »
Questi scrittori, molti attraverso una letteratura di genere : « il noir », cercano, se non di cambiare la realtà, almeno di renderla « leggibile ». Come dicono i Wu Ming : « ci sono segreti che si possono dire solo trovando le parole giuste e una storia per raccontarli ». Un autore che si riconosce in questo tipo di letteratura, Giancarlo De cataldo, in una intervista al quotidiano La Repubblica (giugno 2008) dica che si tratta di una letteratura che, rifiutato « il gaio gioco postmoderno », esce consapevolmente dal recinto dell'introspezione e del solipsismo e « punta costantemente il fuoco sull'Italia che è sotto gli occhi di tutti », cioè quella dell'evasione fiscale, dell'inquinamento ambientale, della corruzione, della criminalità organizzata. Un Paese con tali compromissioni e infiltrazioni mafiose di tutti i tipi che sembra quasi impossibile estirparle. Massimo Carlotto, secondo Wu Ming, è uno degli autori che possono essere, a giusto titolo, assimilati alla NIE.
Certo Giulio Ferroni nel suo pamphlet Scritture a perdere, del 2010 afferma che etichette come la NIE sono « pretenziose e senza senso » e condanna l' « insopportabile arcadia truce del noir » che, secondo lui, con la pretesa di raccontare l'Italia e i suoi mali « non da luogo ad altro che assuefazione al già dato, trasforma la violenza e le trame criminali in ripetitivo consumo dell'ineluttabile »[5]. Ma la NIE non concerne tutto quello che in Italia si è soliti chiamare letteratura « noir », da Faletti agli imitatori dei romanzi americani a base di serial killers e poliziotti violenti e Massimo Carlotto non può essere liquidato da giudizi così sommari. Come ha messo in evidenza Claudio Milanesi nei molti interventi a convegni e in diversi saggi, Carlotto all'inizio, per esempio nei romanzi del ciclo dell' « Alligatore » – un suo controeroe ricorrente – racconta la faccia nascosta del miracolo economico che trasforma il Nord-Est negli anni ottanta-novanta del secolo scorso [6]. Lo fa utilizzando il « noir » come una forma di narrazione sovversiva, una contronarrazione che si fa letteratura della realtà. Se l'Alligatore ha una lontana parentela con i « vendicatori sociali » di tanta letteratura popolare dall'ottocento in poi è perché, come dice lui stesso in un’intervista alla Repubblica :
Un buon personaggio deve essere controverso, problematico, non deve avere risposte, ma solo domande. I miei protagonisti … sono quasi tutti sconfitti,gente però che non si arrende. Sono crociati della verità …. La gente vuole sapere, chi lotta per fare un pò di luce dentro i nostri mille misteri conquista l'affetto della gente[7].
A partire da un certo punto però, per Carlotto diventa evidente che bisogna passare dal « noir » – diventato o avviato a diventare solo letteratura di intrattenimento, consolatoria – a qualcosa d'altro.
Nel marzo del 2001 avevo invitato a Montpellier e all'Università Paul-Valery Massimo Carlotto e alcuni altri autori, Loriano Macchiavelli, gli spagnoli Lorenzo Silva e Maria Antonia Olliver e i francesi Gilles Del Pappas e Lilian Bathelot per discutere del futuro del « noir » mediterraneo. Di tutti gli autori presenti, Carlotto era il più critico, pur essendo ancora convinto, come dirà qualche mese dopo al quotidiano Repubblica, che « con il 'noir' il romanzo ha la possibilità di tornare all'impegno civile, alla lotta politica e culturale, alle scelte scomode e al coraggio di essere autori e interpreti ».
Nella discussione a Montpellier, Carlotto aveva espresso i suoi dubbi dicendo che ormai quando andava a presentare un libro i lettori gli chiedevano di più e spesso portavano del materiale su problemi che andavano dalla corruzione all'inquinamento chiedendogli di utilizzarlo in qualche libro « visto che tanto i giornalisti non vogliono o non possono farlo ». E' probabile che nei suoi dubbi si riflettesse anche quello che Jean Patrick Manchette aveva detto della grande stagione del « noir » americano degli anni venti/cinquanta dello scorso secolo e cioè « che il grande periodo del 'noir' americano è quello della controrivoluzione trionfante (1920-1950) e specialmente nei suoi esiti : i fascismi e la guerra... ».
Recentemente Claude Mesplède ha scritto: « Quando il romanzo 'noir ' nasce alla fine del 1922 la rivolta collettiva è consumata. Il salariato ha perso la sua battaglia emancipatrice e la sola funzione di questa letteratura popolare sembra ormai essere quella della testimonianza[8] ».
E' quello che Roman Polanski mette in scena nel suo capolavoro, il film « noir » Chinatown del 1974 ma che si svolge nella Los Angeles degli anni quaranta del novecento. Nel film il regista, scappato dalla Polonia comunista, fa i conti con il capitalismo americano riprendendo i temi e i personaggi del grande Dashiel Hammet e, nella scena finale, un poliziotto dice al detective, interpretato da Jack Nicholson, che ormai ha capito che è il male a trionfare e che lui non può farci niente, ma vorrebbe ancora provarci : « Lascia stare, è Chinatown ! ». Cioè il caos, la legge del più forte, l'ordine fondato sul disordine e sulla prevaricazione. Questo ruolo di testimone lucido e pessimista va stretto a Carlotto che pure era riuscito proprio con l'utilizzazione del genere « noir » e utilizzando la lezione del grande scrittore marsigliese Jean-Claude Izzo (1945-2000) a sfuggire ai difetti che nel 2001 (ancora!) Valerio Evangelisti trovava nel « noir » italiano. Intervistato da Serge Quadruppani, Evangelisti dice che : « Il 'noir' italiano è molto meno politicizzato di quello francese. Può mostrare dei disfunzionamenti,denunciare connivenze fra lo Stato e il crimine organizzato, attaccare la corruzione. Ma quasi mai critica il sistema nei suoi tratti strutturali. E' essenzialmente socialdemocratico, o anche soltanto democratico[9]». Già nel 2001, Carlotto ha ben chiaro che bisogna scrivere storie di ampio respiro, capaci di mescolare al romanzo (alla scrittura romanzesca) l'indagine efficace sulla tardomodernità reazionaria dell'Italia contemporanea.
Capisce anche che questo compito non lo può assumere da solo e sempre più spesso scrive in collaborazione, con Marco Videtta, con Francesco Abate, con il collettivo Mama Sabot. Dopo aver pensato quindi per molti anni, come scrive sul quotidiano Il Manifesto :
... che il 'noir' e il poliziesco italiano erano la letteratura della realtà… a partire dalla convinzione che raccontare una storia criminale che si sviluppava in un tempo e in un luogo era una scusa per decrivere quella sociale, politica, storica e economica che circondava gli avvenimenti narrati nel romanzo. In realtà è stato vero solo in parte perché, al di là delle dichiarazioni di intenti, non è mai stato affrontato il problema principale e cioè la natura stessa del crimine e il suo ruolo in questo preciso momento storico. E politico… Oggi il 'Noir mediterraneo' come l'aveva inteso Jean-Claude Izzo è morto e sepolto e non ha nemmeno senso continuare a parlarne se non nella prospettiva di conservazione della memoria di una svolta importante[10].
In un altro intervento del 2013 che vale la pena di citare per intero, Carlotto insiste e mostra affinità con i Wu Ming e anche la consapevolezza che ormai occorra trovare nuove forme per intervenire sulla realtà :
Col tempo ho riflettuto sul fatto che la società è così complessa che occorre far intervenire tutti i generi letterari a raccontare quello che sta accadendo. E' questo il passaggio da una letteratura della crisi – perché il 'noir' è stato il genere che più di altri ha saputo raccontare e persino anticipare la crisi – ad una letteratura del conflitto, in grado di raccontare il conflitto non solo politico, economico, sociale, ma anche,direi, antropologico che la crisi ha scatenato agendo in profondita nelle nostre società. Ovviamente per far questo il 'noir' non basta più[11].
In un paese in cui, per dirla con Jean Marie Lévêque « la dittatura dei mercati ha potuto affermarsi proprio grazie al non più esistere di un'opposizione degna di questo nome » e in cui « si è praticato sistematicamente il disinnesco di qualsiasi pensiero radicale e critico anche e soprattutto per opera degli ex-comunisti » una letteratura del conflitto è essenziale non soltanto come resistenza attiva, ma anche per rilanciare un pensiero critico e far sì che le talpe, vecchie e giovani, continuino a scavare ![12] »
Perdas de Fogu, pubblicato da Carlotto e da un collettivo di scrittori e giornalisti d'inchiesta (Mama Sabot = sabotaggio) nel 2008 è un primo tentativo in questo senso. Lo scrittore (e la scrittura) svolge il ruolo che il giornalismo d'inchiesta ha abbandonato e racconta la realtà sotto forma di fiction, ma senza romanzarla. Come scrive Maria Laura Chiacchiarelli questo romanzo « noir » di Carlotto riorienta le finalità del genere da evasione/intrattenimento a denuncia/coinvolgimento e si assume le funzioni dismesse dai giornalisti di inchiesta. Un romanzo scomodo che colpevolizza letteralmente tutti, lettori compresi : « ….una società civile, assente, omertosa e sottomessa, resa facilmente ricattabile dalla mancanza di lavoro[13] ».
La storia si svolge tra una Cagliari metropoli insulare, in preda alla disoccupazione e alla droga e il poligono di tiro della NATO di Salto di Quirra, quasi 13.000 ettari in cui vengono provate armi di tutti i tipi e anche sostanze tossiche che hanno effetti devastanti sulle persone e sulla natura, ma nessuno sembra preoccuparsene.
Carlotto e il gruppo di scrittori e giornalisti informati dei fatti che si fanno chiamare collettivo Mama Sabot, lanciano l'allarme sulle « nanoparticelle », dei killers spietati lasciati come residuo dalle munizioni a uranio impoverito utilizzato da anni, forse da decenni, nel poligono di tiro. Come scrive Benedetto Vecchi, le nanoparticelle e i loro effetti devastanti sono « le protagoniste indiscusse di Perdas de Fogu, un noir sviluppato attorno ai tentativi di nascondere i loro effetti e di come il poligono militare sardo è usato per sperimentare sistemi d'arma di ogni tipo eccetto quelle batteriologiche, al riparo da ogni controllo pubblico [14]». In un’intervista rilasciata al settimanale Left in occasione dell'uscita del libro, Carlotto spiegava : « Abbiamo scritto 1500 pagine d'inchiesta per preparare il romanzo. Ho parlato con il mio socio di sempre Francesco Abate, ma in due non ce l'abbiamo fatta, allora ci siamo messi in tre, poi in quattro… Alla fine siamo diventati dieci : è nato questo gruppo che si chiama Mama Sabot[15]». Quando nel 1976 la rivista Sapere aveva pubblicato un denso numero dedicato all'ICMESA di Seveso, Lucia Martini aveva scritto : « Con l'assoluta incapacità di rappresentarsi la storia nei suoi nessi compositivi dati, la borghesia totalizza il suo sistema e concepisce le leggi del capitalismo come leggi naturali e metastoriche ; di conseguenza concepisce la possibilità della crisi generale del capitalismo solo in termini di fine della civiltà dell'uomo ».
A Perdas de Fogu vengono sperimentate armi terribili non perché non ci si renda conto della loro pericolosità sull'ambiente e sulle persone, ma perché non ci si pone nemmeno il problema. Tra i personaggi del romanzo non ci sono personaggi positivi : sono tutti più o meno « cattivi », tutti legati a istituzioni, centri di ricerca, multinazionali, governi, forze dell’ordine », globalmente cattive. Secondo Carlotto questo tipo di situazione, l'inquinamento di un territorio vastissimo destinato in pratica ad una desertificazione umana senza che ci siano proteste di massa e che se ne parli è dovuto al fatto che il giornalismo investigativo, quello che allertava l'opinione pubblica e poteva costringere la politica a intervenire è stato ormai sconfitto e imbavagliato. Come gli altri libri di Carlotto, ma introducendo la necessità di un grande lavoro di documentazione e di scrittura collettiva questo è un romanzo assolutamente non consolatorio e che corrisponde a quanto affermato dallo scrittore progressista americano Russel Banks « La funzione dello scrittore e di fare in modo che nessuno possa ignorare il mondo e che nessuno possa dirsene innocente [16]». La storia raccontata da Carlotto e dai suoi sodali è quella di una di quelle parti d'Italia in cui lo stato di diritto è sospeso, come la « terra dei fuochi » in Campania o la Valle di Susa per la costruzione della linea TAV.
In questo caso ogni tentativo di avvicinare e rendere pubblica la verità è impedito, anche usando la corruzione e la violenza, da esponenti politici e da manager dell'industria militare che si servono dei servizi segreti e delle forze dell'ordine ( !) come esecutori materiali. Attorno alle nanoparticelle ruotano disertori dell'esercito italiano (Pierre scappato dall'Afghanistan perché sorpreso a spacciare, residente in Montenegro, ma ricattabile dai servizi italiani), piccoli malavitosi sardi, politici regionali di grandi ambizioni, ufficiali dei servizi in lotta gli uni contro gli altri per questioni di potere e investigatori privati pronti a tutto per denaro. C'è una ricercatrice che ha capito quello che succede, ma che non ci pensa nemmeno a renderlo pubblico e vuole soltanto far carriera. Pierre è inviato per spiarla e da lì la storia avanza verso la morte inevitabile della ricercatrice e di altri personaggi. Pierre si salva, ma solo per tornare in Montenegro a riprendere il suo lavoro di spacciatore e ad aspettare che i servizi si accorgano che è ancora in vita. Come ho già detto, non ci sono innocenti e l'Italia che questo romanzo fotografa « non è un paese che ha bisogno di eroi, ma di opportunisti che vivono alla giornata e che per sopravvivere sono disposti a tutto. Un noir che vuole presentarsi come prosecuzione potente del giornalismo d'inchiesta non può tuttavia abbellire la realtà »[17]. Nel romanzo di Carlotto non c'è indagine, ma c'è piuttosto un « disvelamento » della realtà e, naturalmente, non ci sono valori positivi. Come dicono i Wu Ming « accade in Italia » (in effetti nel mondo) e per questo bisogna raccontare « le lacerazioni, il divergere e divenire caotico, le deterritorializzazioni e riterritorializzazioni nel corpo frollato di un paese implodente, razzista e illividito ». Per questo, per entrare brevemente nel dibattito, sono d'accordo con i Wu Ming che più che parlare di « metafora » occorra parlare di « allegoria » : Perdas de fogu di Carlotto è una perfetta allegoria dell'Italia contemporanea. Senza redenzione possibile, a meno che…, come scrive Girolamo De Michele in Carmilla, « la denuncia non passi alla strada ».
[1] Massimo Tramonte, Maître de conférences, Université Paul-Valéry Montpellier III
[2] I testi dei Wu Ming sono pubblicati da Einaudi, ma è preferibile caricarli gratuitamente e in PDF sul loro sito wumingfoundation.com/giap o sul sito della rivista on line Carmillaonline di Valeria Evangelisti che pubblica, in un’ apposita sezione anche tutto il dibattito successivo con numerosissimi link.
[3] Allegoria, 57, 2008, p.7.
[4] Almanacco Guanda, 2008, Il Romanzo della Politica. La Politica nel Romanzo, p.3.
[5] Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura degli anni zero, Bari, 2010.
[6] Consiglio di leggere : Claudio Milanesi, « Franchir les frontières, subvertir les règles. Deux romans et une nouvelle de Massimo Carlotto », in Cahiers d'études romanes, n° 9, 2003, pp. 89/102 ; dello stesso autore leggere anche l'introduzione al numero Subvertir les règles : le roman policier italien et latino-américain; Id., Il romanzo poliziesco. La storia. La memoria, introduzione a un volume che raccoglie moltissimi interventi a seminari e a convegni svoltisi a Aix en Provence, pp. 13/27, Milano, Astrea, 2009.
[7] La Repubblica, 3/8/2001.
[8] Claude Mesplède, « Du roman au film noir », in Mouvements, 67, 2011, Du polar à l'écran normes et subversion, pp.12-18 ; la rivista Mouvements nel 2001, n°15/16 aveva già pubblicato un importante dossier Le polar. Entre critique social et désenchantement con un articolo di Laurent Lombard su « Le roman policier italien : entre mystère et silence », pp. 59-67.
[9] Serge Quadruppani,Portes d'Italie. Dix-huit nouvelles noires de l'Italie d'aujourd'hui. Entretien-préface par Valerio Evangelisti, Paris, 2001, p.10.
[10] Citato da Monica Jansen nell'introduzione a Noir de noir, Università di Anversa, 2006, p.10.
[11] Quando della citazione non è precisata la fonte, si tratta di testi che provengono dal sito di Massimo Carlotto www.massimo carlotto.it Il portale del noir.
[12] Il testo di Lévêque, L'Italia come mondo atono:alcune considerazioni politico-filosofiche su Alain Badiou (e non solo), apparso nel 2011 sul sito della rivista on line Kainos è oggi reperibile sul sito sinistrainrete.info.
[13] Maria Laura Chiacchiarelli, « Perdas de Fogu. Il Mediterraneo di Carlotto si tinge di nero », in Finzione Cronaca Realtà. Scambi, intrecci e prosprettive nella narrativa italiana contemporanea, a cura di Hanna Serkowska, pp.269-282.
[14] Benedetto Vecchi, « Gli invisibili Killers spietati della democrazia made in Italy », Il Manifesto, 19/11/2008.
[15] Intervista su Left/Avvenimenti, 7/11/2008.
[16] Riprendo questa citazione dall'articolo di Claude Mesplède di cui ho già parlato.
[17] Benedetto Vecchi, op. cit.