Myriam El Menyar
Identità e cultura: Mohsen Melliti e Amara Lakhous
Il periodo a cavallo fra il XX e il XXI secolo è caratterizzato da un fenomeno storico, sociale e antropologico dalle ripercussioni planetarie: migrazioni di popoli dalle regioni del Sud-Est del pianeta verso quelle del Nord-Ovest. Questo evento sta modificando in profondità le società occidentali fra cui l'Italia che in un arco di tempo molto breve è passata da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Si tratta quindi di un avvenimento maggiore che porta con sé grandi trasformazioni, in particolar modo sui concetti di identità e di cultura, ma che pone anche una domanda chiave, quella del riuscire a vivere insieme.
Nel 2010 una giovane letteratura nata proprio nel fulcro di queste trasformazioni ha festeggiato ufficialmente vent'anni di esistenza. Si tratta della letteratura italofona, ovvero della letteratura scritta in italiano da autori non-nati1. Il nostro studio si concentrerà sulle opere di due scrittori maghrebini che sono giunti in Italia quasi contemporaneamente ma che hanno cominciato a scrivere in italiano a quasi dieci anni di distanza: Pantanella. Canto lungo la strada (1992), e I Bambini delle rose (1995)2 di Mohsen Melliti, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (2006) e Divorzio all'islamica a viale Marconi (2010)3 di Amara Lakhous. Dopo una breve presentazione letteraria delle loro opere, la nostra analisi ha come obiettivo in un primo tempo di illustrare come Mohsen Melliti e Amara Lakhous contribuiscano al rinnovamento dell'immaginario italiano attraverso il ritratto di due personaggi, Ahmad in Pantanella. Canto lungo la strada e Ahmed/Amedeo in Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. In un secondo tempo cercheremo di evidenziare come Amara Lakhous fa evolvere il concetto di identità. Infine tenteremo di mostrare che Mohsen Melliti contrappone all'omologazione in corso una via che si nutre della diversità invece di schiacciarla.
Mohsen Melliti pubblica il suo primo romanzo agli inizi degli anni '90, proprio quando le grandi case editrici cominciano a interessarsi alla letteratura migrante. Le sue opere riflettono questo periodo perché sono attraversate dal bisogno di raccontare, di far conoscere la realtà sociale dei migranti il cui numero cominciava a diventare significativo in Italia. La singolarità delle opere dello scrittore tunisino è che non si tratta di diari autobiografici, ma di veri e propri romanzi. Tuttavia, Melliti non esce completamente dalla dimensione della testimonianza, per le ragioni appena evocate, ma anche perché il suo primo romanzo parte da un fatto realmente accaduto: l'occupazione da parte di migliaia di immigrati della Pantanella, ex pastificio di Roma, e il suo successivo sgombero. In realtà le opere di Melliti appaiono come delle cronache romanzate nelle quali gli stranieri, che sono al centro della narrazione, sembrano colti nel loro quotidiano, come se all'improvviso qualcuno li avesse messi sotto i proiettori. Le due opere si vogliono precise, ma anche molto violente. Infatti Melliti non risparmia nessun dettaglio della vita quotidiana degli immigrati ai quali dà voce, un quotidiano segnato dalla povertà, la miseria, le privazioni.
Le opere di Amara Lakhous, pubblicate rispettivamente nel 2006 e nel 2010, si distaccano molto da questo contesto di tensione. Infatti i romanzi di Lakhous si allontanano dalla semplice testimonianza racchiudendo una vera e propria trama narrativa. Però un elemento lega il corpus dei due autori: le storie narrate sono spesso tragiche, comprendono violenza, isolamento, depressione. Una differenza notevole va però notata: al pathos e al pessimismo delle opere di Melliti, che avevano lo scopo di colpire il lettore, rispondono l'umorismo, l'ironia e anche la satira dei romanzi di Lakhous. Questa chiave di lettura del reale che ricorda la commedia all'italiana, consente all'autore non solo di mettere a nudo le contraddizioni e i paradossi della società italiana, ma anche di farlo con meno drammaticità e maggiore leggerezza, segno evidente di una presa di distanza.
I romanzi di Amara Lakhous sono delle opere corali nelle quali ogni personaggio si esprime alla prima persona. Da una parte questa focalizzazione interna incrementa fortemente lo spessore psicologico di ogni personaggio, dall'altra offre una variabilità di focalizzazione che consente allo scrittore di dare voce ad una grande quantità di personaggi dalla dimensione psicologica unica, dai modi di essere e di pensare propri. Nora Moll, in « Portata civile e riflessione sull'interculturalità nell'opera di due scrittori algerini in Italia: Amara Lakhous e Tahar Lamri », spiega appunto che in Lakhous « la migrazione […] assume cadenze e contenuti diversi a seconda del personaggio che parla. » 4. Al contrario, Melliti ha privilegiato una focalizzazione esterna, con la scelta del narratore onnisciente. Ma questo narratore consente anche all'autore di entrare nei pensieri dei personaggi e di analizzarne i sentimenti, garantendo la penetrazione del lettore nella sfera mentale del personaggio.
L'individuo è quindi riportato alla luce, esaltato, si distacca dalla massa e il lettore scopre le vicende più disparate, vicende uniche. Lungi dall’essere figure evanescenti o esotiche, i personaggi stranieri raffigurati da entrambi gli autori danno quindi prova di una complessità identitaria e psicologica che partecipa attivamente al rinnovamento dell'immaginario del lettorato italiano. Per illustrare questo nostro discorso ci concentreremo ora sul loro modo di affrontare la questione dell' entre deux, ossia del come vivere scissi fra più mondi, attraverso il ritratto di due personaggi, Ahmed/Amedeo in Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous, e Ahmad in Pantanella. Canto lungo la strada di Mohsen Melliti.
Apparentemente ben inserito nella società italiana, Ahmed/Amedeo cela un lato oscuro, una frattura ontologica che affiora nel cuore della notte e che il protagonista esprime attraverso ciò che chiama « l'ululato ». Questo termine che di solito viene usato per definire il verso dei lupi durante le notti di luna piena, diventa metaforicamente l'espressione notturna delle sue sofferenze nascoste. Il doppio nome diventa allora il sintomo di un conflitto d'identità, di un io che prova difficoltà a vivere la frattura che il viaggio migratorio impone. Daniele Comberiati, in un articolo intitolato « La verità è nel fondo di un pozzo. La costruzione dell'inchiesta nei romanzi di Amara Lakhous » evoca « la dicotomia soggiacente alla figura di Ahmed/Amedeo : il doppio nome sta ad indicare proprio il rapporto fra passato in Algeria e presente in Italia. »5. Questa dislocazione interiore spinge Ahmed/Amedeo alla rimozione dolorosa del passato. Roberto Derobertis in « Storie fuori luogo. Migrazioni, traduzione e riscritture in Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio », nota infatti che il primo romanzo di Lakhous « coglie Ahmed/Amedeo nel dissidio del nome che è un conflitto traduttivo con la memoria. »6. La sua è una memoria bloccata che rifiuta di evocare il passato e che vorrebbe rimuovere la sua vita anteriore. Però la memoria non si lascia rimuovere e come una ferita insanabile è rigurgitata attraverso gli ululati. Egli ulula in cerca di una qualche consolazione; è lui ad esprimersi:
Il problema è che lo stomaco della mia memoria non ha digerito bene tutto quello che ho ingoiato prima di venire a Roma. La memoria è proprio come lo stomaco. Ogni tanto mi costringe al vomito. Io vomito i ricordi del sangue ininterrottamente. Soffro di un'ulcera alla memoria.
Le ferite sanguinanti della memoria percorrono anche il primo romanzo di Mohsen Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada. Ahmad soffre di ghurba, parola araba che indica i violenti attacchi di nostalgia. Esattamente come una malattia, la ghurba s'impadronisce non solo della sua mente ma anche del suo corpo. Ahmad prova in effetti il bisogno di sdraiarsi e di rannicchiarsi come se fosse colpito da un malore: « Tornò a sdraiarsi, si rannicchiò sul letto e fu travolto da un attacco di nostalgia, di ghurba, un senso di umiliazione e demoralizzazione. »8 Maria Grazia Negro, in « La dialettica memoria-oblio negli scrittori migranti arabofoni » afferma inoltre che all'interno di questo romanzo « emerge esplicitamente il legame tra la memoria che ferisce e la nostalgia. »9. Però attraverso la focalizzazione esterna, Melliti getta luce non tanto su individui singoli come fa Lakhous, ma piuttosto su una comunità. È così che la ghurba sembra estendersi a tutti gli immigrati del romanzo. Per ciò che riguarda la presenza ricorrente della ghurba negli autori maghrebini, rimando al capitolo « Maghreb » di Nuovo planetario geografico di Armando Gnisci.10
Un rapporto particolarmente conflittuale con la propria identità emerge da questi ritratti che contribuiscono attivamente al rinnovamento dell'immaginario italiano. In realtà la loro identità complessa riesce con difficoltà a muoversi fra un paese di origine ormai lontano e un paese di arrivo che non si lascia afferrare del tutto. Édouard Glissant, in Introduction à une poétique du divers11, ha sviluppato e teorizzato il concetto di « identità rizoma », ovvero di un'identità che non si ripiega su se stessa, ma si estende per entrare in contatto con la diversità. I personaggi di Lakhous e Melliti sono ancora lontani da quest' « identità-relazione » che potrebbe considerare le differenze come una risorsa e non come un pericolo. Al contrario essi fanno venire alla luce le difficoltà che la scissione fra i due mondi comporta, una scissione vissuta con dolore che può condurre a un ripiegamento su se stessi e all'isolamento.
Come abbiamo lasciato intravedere con il personaggio di Ahmed/Amedeo, una costante attraversa le opere di Amara Lakhous: i doppi nomi. Diversi personaggi hanno un nome doppio: Ahmed/Amedeo, ma anche Christian/Issa e Safia/Sofia, i due protagonisti del secondo romanzo dell'autore italo-algerino. Questi nomi doppi mi permettono di affrontare la seconda parte del mio discorso: l'evoluzione del concetto di identità. Brigitte Le Gouez, in « Auteurs d'Afrique et lettres italiennes : quelques réflexions autour de la littérature de la migration en Italie », afferma infatti che « les auteurs immigrés viennent rappeler […] que l'identité a aussi une composante dynamique. »12. Lasciamo da parte il personaggio di Safia/Sofia per concentrarci su Ahmed/Amedeo e Christian/Issa.
Questi due personaggi si fanno passare per quel che non sono. Ahmed Salmi passa per un «italiano doc» mentre è nato in Algeria e Christian Mazzari per un «tunisino doc» mentre è nato in Sicilia. Siamo quindi in presenza di due personaggi che ingannano il mondo che li circonda. Questi ci permettono di analizzare i criteri sui quali ci si basa per affermare l'identità di una persona allo scopo di rimetterli in discussione e di invalidarli.
Un primo elemento sembra racchiuso proprio nel nome. Infatti il nome permetterebbe di determinare subito l'appartenenza o meno ad una comunità. È Safia/Sofia a parlare:
La prima domanda che ti fanno sempre è: come ti chiami? Se hai un nome straniero si crea immediatamente una barriera, una frontiera insuperabile fra il «noi» e il «voi». […] Non conta se sei nato in Italia, hai la cittadinanza italiana, parli perfettamente l'italiano. […] Agli occhi degli altri non sei (e non sarai mai) un italiano doc, un italiano al cento per cento, un italianissimo. Diciamo che il nome è il primo marchio della nostra diversità.13
Christian Mazzari è stato assunto dai servizi segreti italiani per infiltrarsi nella comunità araba di viale Marconi, allo scopo di snidare terroristi che starebbero preparando un attentato. La prima cosa che Christian cambia per entrare nella comunità araba è appunto il nome: egli diventa Issa Kamli. Allo stesso modo, il nome di Amedeo consente ad Ahmed Salmi di non suscitare dubbi presso la sua cerchia di conoscenze: « vi dico che Amedeo è italiano verace »14.
Un secondo criterio sembra costituito dal fisico. Infatti ciò che consente a Christian Mazzari di passare per un tunisino è « la sua fisionomia tipicamente mediterranea. »15.
Un altro elemento fondamentale è la conoscenza acuta della cultura dell'altro: sia Ahmed Salmi che Christian Mazzari dimostrano una profonda padronanza del mondo nel quale si muovono, a volte maggiore rispetto a quella degli autoctoni. Questo è evidenziato dalle parole di un barista che si stupisce per la perfetta conoscenza delle strade e della storia di Roma da parte di Ahmed/Amedeo: « Amedeo non ha rivali, conosce l'origine dei nomi delle strade e i loro significati. Non ho mai visto in vita mia una persona come lui. »16. Lo stesso vale per Christian/Issa che dichiara : « Sono più informato sulla Tunisia di tanti immigrati tunisini veri! »17.
La lingua sembra costituire l'ultimo elemento decisivo : sia Ahmed/Amedeo che Christian/Issa parlano perfettamente la lingua della comunità nella quale vivono, il primo dichiara addirittura: « l'italiano è il mio latte quotidiano. »18.
L'autore ci presenta quindi due personaggi che passano per dei «veri» italiani o tunisini. Il lettore che conosce la loro vera provenienza è confrontato a una realtà rivoluzionaria: l'identità a radice unica sui quali si sono costruiti i grandi stati-nazione, identità fondata sul trinomio «lingua-popolo-nazione», non è più in grado di cogliere la complessità di un mondo ormai attraversato da una parte all'altra dai flussi migratori. Questi due personaggi dimostrano che oggi parlare di identità in questi termini non ha più senso. I criteri vanno totalmente ridefiniti e soprattutto va rilevato che l'italianità non si trasmette, ma si acquisisce. Amara Lakhous ci propone quindi di adottare uno sguardo altro, di rovesciare la nostra prospettiva per riuscire finalmente a cogliere la complessità di un'identità mobile e di una cultura mutevole. Un passaggio del primo romanzo di Lakhous è particolarmente evocatore. È Ahmed/Amedeo a citare un brano del libro di Amin Maalouf, Leone l'Africano:
Vengo oggi chiamato l'Africano, ma non sono africano, né europeo, né arabo... Sono figlio della strada, la mia patria è la carovana, la mia vita è la più imprevedibile delle traversate. È meraviglioso potersi liberare dalle catene dell'identità che ci portano alla rovina. Chi sono io ? Chi sei ? Chi sono ? Sono domande inutili e stupide19.
Ma questo doppio nome esprime anche una sorta di omologazione, un annientamento delle differenze. È Abdallah Ben Kadour, un personaggio del primo romanzo di Lakhous, ad evocare questa chiave di lettura: « Molti italiani che conosco hanno provato a convincermi a cambiare nome e mi hanno proposto una serie di nomi italiani. »20. L'Italia raffigurata nei romanzi pare non avere ancora elaborato un modello di società interculturale che si nutrirebbe delle differenze fra i suoi abitanti.
In contrapposizione a quest'omologazione, Melliti delinea una via altra, diversa. I suoi romanzi sono infatti segnati da una costante: il superamento di ogni tipo di divario, che sia politico, sociale, ideologico, culturale o linguistico.
È così che una cinese e un rom, ne I Bambini delle rose, invece di lottare l'uno contro l'altro, riescono a superare le loro differenze e ad abbandonarsi ad un sentimento amoroso. Un passaggio è particolarmente illuminante. Si legge: « Si siedono a terra e mangiano dallo stesso piatto, lei mangia con i bastoncini e lui con un cucchiaio. […] Quegli occhi chiusi lui li vide in un'altra maniera, piena di luce, aperti, si riflettono su di lui. Anche i suoi occhi si rispecchiano in quelli di lei. »21. Questo momento intimo condiviso dai due bambini rivela uno scambio paritario, uno scambio interculturale nel quale ognuno conserva la propria specificità senza rinchiudersi in se stesso, bensì cogliendo la ricchezza che l'incontro con l'altro produce.
La stessa cosa accade nel primo romanzo di Melliti ambientato a Roma. L'autore narra infatti la storia di questa « città », scritta entro virgolette, come se costituisse uno spazio parallelo, racconta la vicenda di questi uomini che mai avrebbero dovuto incontrarsi e che offrono al lettore una grande lezione di interculturalità. Infatti la società multietnica della Pantanella riesce ad attuare un dialogo transnazionale che diventa, spiega Binetti, non « caos babelico e semplicista generalizzazione razzista, ma momento costituente di aggregazione e di comunicazione »22. L'autore descrive un'umanità che finisce col superare ogni tipo di divisione e che riesce a unirsi, a legarsi :
Quel frammento di umanità era felice, ed esprimeva i propri sentimenti attraverso i sorrisi tracciati sui volti illuminati dalla luna. […] I colori e le nazionalità si mischiavano dando vita a una sola umanità e a un unico dolore. […] Alle canzoni marocchine seguirono quelle algerine, tunisine, arabe, fino a quelle pakistane, indiane, africane e asiatiche. Era il mondo intero a cantare.23
Una sola umanità, un solo popolo. Malgrado le differenze, gli occupanti della Pantanella sono consapevoli di una e di un'unica cosa, il loro essere uomini. Dalla loro abitazione vetusta gli abitanti lanciano una sfida al mondo : costruire una nuova civiltà, una nuova storia, una storia nella quale, come scrive Raffaele Taddeo in La letteratura nascente : « si parte dalla molteplicità delle lingue per provare a costruirne una unica. »24.
Nella nostra ricerca abbiamo tentato di mostrare come Mohsen Melliti e Amara Lakhous, rimettendo in gioco la loro esistenza, cercano di fare evolvere queste problematiche spingendo il lettorato italiano a guardare il mondo attraverso la lente di un modello culturale nuovo che non cerca più di imporre la sua verità ma che interagisce nella pluralità dei punti di vista. Il mondo va incontro alla creolizzazione: culture, lingue, popoli entrano in contatto in modo sempre più intenso. Questo mondo crea però paura, tensioni. Basti vedere per esempio la progressione di diversi nazionalismi in Europa che fanno riferimento a un ripiegamento identitario. In realtà i migranti, approdando sulle coste occidentali, ci lanciano una grande sfida, come ricorda molto bene Tzvetan Todorov in La paura dei barbari25: avviarsi non verso società multiculturali, improbabile giustapposizione di culture, ma verso società interculturali che riescano ad attuare un dialogo fra le diversità che le compongono e a farle convivere in modo sereno. Perciò di fronte a queste nuove realtà, è cruciale e urgente riesaminare i nostri modi di pensare, di vedere, di confrontarsi con la realtà per, come ha scritto Glissant: « faire admettre, inconsciemment, aux humanités que l'autre n'est pas l'ennemi, que le différent ne m'érode pas, que si je change à son contact, cela ne veut pas dire que je me dilue dans lui. »26.
Riferimenti bibliografici
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1. Per un ulteriore approfondimento sulla nascita e lo sviluppo di tale letteratura, rimandiamo al saggio di Armando Gnisci, Creolizzare l'Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi Editore, Roma, 2003.
2. Mohsen Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada, Edizioni Lavoro, Roma, 1992; Idem, I Bambini delle rose, Edizioni Lavoro, Roma, 1995. Da ora in poi, tutte le citazioni tratte dal primo testo saranno indicate dalla sigla PC seguita dal numero di pagina e quelle tratte dal secondo testo dalla sigla BR seguita ugualmente dal numero di pagina.
3. Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, Edizioni e/o, Roma, 2006; Idem, Divorzio all'islamica a viale Marconi, Edizioni e/o, 2010. Da ora in poi, tutte le citazioni tratte dal primo testo saranno indicate dalla sigla SV seguita dal numero di pagina e quelle tratte dal secondo testo dalla sigla DM seguita ugualmente dal numero di pagina.
4. Nora Moll, « Portata civile e riflessione sull'interculturalità nell'opera di due scrittori algerini in Italia: Amara Lakhous e Tahar Lamri », in Felice Gambin (a cura di), Alle radici dell'Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale, Seid, Firenze, vol. 3, 2011, p. 240.
5. Daniele Comberiati, « La verità è nel fondo di un pozzo. La costruzione dell'inchiesta nei romanzi di Amara Lakhous », in Michelangela Monica Jansen, Yasmina Khamal (a cura di), Memoria in Noir. Un’indagine pluridisciplinare, Peter Lang, Bruxelles, 2010, p. 225.
6. Roberto Derobertis, « Storie fuori luogo. Migrazioni, traduzioni e riscritture, in Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio », in Studi d’Italianistica nell’Africa Australe, vol. 21, n. 1&2, A.P.I., 2008, p. 225.
7. SV, p. 107.
8. PC, p. 18.
9. http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/critica/kuma13negro3.html, sito consultato in data 23/05/2013.
10. Amara Lakhous, « Maghreb », in Armando Gnisci (a cura di), Nuovo planetario italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città aperta Edizioni, Troina, 2006, pp. 155-187.
11. Édouard Glissant, Introduction à une poétique du divers, Gallimard, Paris, 1996.
12. Brigitte Le Gouez, « Auteurs d'Afrique et lettres italiennes : quelques réflexions autour de la littérature de la migration en Italie », in Isabelle Felici (a cura di), Regards culturels sur les phénomènes migratoires, La Garde, Université du Sud Toulon-Var, 2005, p. 249 (« gli autori migranti ricordano che ci possono essere più vite in una, più uomini in uno, e che l'identità ha anche una componente dinamica. »), N.T.
13. DM, pp. 22-23.
14. SV, p. 38.
15. DM, p. 17.
16. SV, p. 94
17. DM, p. 49.
18. SV, p. 107.
19. Ivi, p. 108.
20. Ivi, p. 111.
21. BR, p. 74.
22. Vincenzo Binetti, « La città "nomadica". Esodo intrasocietario e deterritorializzazione urbana nei romanzi di Mohsen Melliti », in Anna Frabetti, Walter Zidarič (a cura di), L'italiano lingua di migrazione. Verso l'affermazione di una cultura transnazionale agli inizi del XXI secolo, CRINI, Nantes, 2006, p. 185.
23. PC, pp. 13-14.
24. Raffaele Taddeo, La letteratura nascente, Letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche, RaccoltoEdizioni, Milano, 2006, p. 106.
25. Tzvetan Todorov, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, trad. it. di Emanuele Lana, Garzanti, Milano, 2009 (Tzvetan Todorov, La peur des barbares, Librairie générale française, Paris, 2009).
26. Édouard Glissant, Introduction à une poétique du divers, op. cit., p. 56 (« fare ammettere, inconsciamente, alle umanità che l'altro non è il nemico, che il differente non mi erode, che se cambio al suo contatto, non vuol dire che mi diluisco in lui. »), N.T.