Ci sono piccole morti a cui sottoponiamo il corpo per il solo fine di vederlo rinascere, per l'attraversamento del limite, oltre il quale è possibile ritornare alle proprie dimore abituali, all'ordinarietà che non è più tale dopo l'esperienza che se n’è fatta.
Luisella questo lo sapeva e lo sperimentava. Le apparteneva l’osservazione e il rapimento estatico, la scrittura e l'atto creativo, il disegno e i colori. Aveva un modo tutto suo di comunicare senza parlarti. Tutto dipendeva da come poggiava lo sguardo, da quel suo modo di muoversi che dimostrava insieme cautela e possesso dello spazio.
Era l'autunno del 2004. Ci incontrammo in un giardino, mentre controllava le garze che erano state poggiate sul terreno; mentre scriveva, di una scrittura minuta, su un tronco di albero che sarebbe stato abbattuto. Preparava una performance, ne organizzava la parte creativa e il corpo, che era coinvolto già in fase di preparazione. Le cose che utilizzava nella performance, e se stessa in primo luogo, dovevano avere una sorta di trasmutazione con la natura. Le garze, per esempio, si sarebbero impregnate di odore di terra, dei suoi colori e avrebbero catturato erbette e gli insetti di passaggio. Lei, poi, vi moriva dentro. Di un morire che era benessere, sbalzo di temperature, dimenticanza, entropia. Di un morire che era ri/nascita. Lei si portava dietro una valigia che conteneva oggetti iconici e che rappresentava, col suo angusto perimetro, il simbolo del viaggio che andava facendo.
Le performances di Luisella Carretta hanno tutte per oggetto e soggetto la natura, i suoi paesaggi estremi, a volte rurali. Poche volte paesaggi urbani. La natura ha rappresentato, nel suo mondo creativo, la ragione del suo lavoro e con queste caratteristiche: non andava riprodotta, né ricostruita; non è stata pretesto per moniti morali, né scenario di installazioni; non era assemblaggio di antiche memorie, né oggetto di architetture fantastiche o futuribili. La natura andava solo vissuta e i suoi paesaggi sperimentati. Questo insegnano le sue performances e le lunghissime ore e ore di osservazione sul volo degli uccelli.
Nell'evento performativo la creatività offre strumenti essenziali per vivere sia lo spazio che il tempo. Offre la concentrazione del corpo intero, la ritualità dei gesti, la tensione emotiva verso ciò che si conosce appena e che sta per accadere. Ed è così che il processo creativo consente quella trance, una sorta di dissociazione, che è elemento comune in tutte le performances di Luisella. Un'esperienza profonda, intima e per lei catalizzante. Tutto questo, viene, sul momento, comunicato allo spettatore, a chi inerte assiste ed empaticamente si lascia coinvolgere.
La presenza di Luisella nel Sud d’Italia, in un Salento in cui il trance-ire è quasi strumento arcaico di mitologie e riti, ha permesso il sorgere di una rete di relazioni costruite intorno al discorso della trance nell’arte. Il ruolo di demiurgo svolto da Vincenzo Ampolo è stato trainante perché si formasse una consapevolezza sul concetto di dissociazione creativa ed ha consentito che su questo tema si sviluppasse un'attenzione e un lavoro di ricerca che poi ha dato luogo alla pubblicazione di due testi, insieme ad altre esperienze laboratoriali.
Si può dire, insomma, che le piccole morti e le grandi rinascite di Luisella in questo territorio, hanno diffuso un seme di conoscenza da cui è attecchita nuova materia e questo è, come sempre, il fine dell’arte.