Il degrado del paesaggio africano nel discorso letterario camerunese e italiano
par Colbert Akieudji[1]
La questione etico-ecologica e ambientale, entrata nelle ideologie politiche negli anni ’80 del Novecento[2], è diventata preoccupazione internazionale agli albori degli anni ’90 con la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottata in occasione del Vertice sulla Terra tenutosi a Rio nel 1992. Detto vertice metteva l’accento sulla responsabilità internazionale e comune nel tutelare il pianeta, prova che allora si avvertiva già il suo degrado con rischi futuri per l’umanità. La letteratura degli stessi anni Novanta non ha evitato il dibattito e l’universalità di questa (nuova) tematica letteraria è evidenziata dal fatto che scrittori di orizzonti vari ne hanno parlato. Proprio da quest’universalità tematico-ideologica muove il presente elaborato volto ad analizzare il degrado del paesaggio africano nel discorso letterario camerunese e italiano della fine del XX e degli inizi del XXI secolo. Si tratta essenzialmente di scrittori degli ultimi anni Novanta e dei primi anni Duemila, quindi degli scrittori a noi contemporanei. Per il Camerun, abbiamo figure come Mongo Beti e Patrice Nganang, con i loro rispettivi volumi Trop de soleil tue l’amour[3], Branle-bas en noir et blanc[4] e Temps de chien[5]. I primi due volumi, di Beti, sono ambientati in un paese africano, con indicazioni che fanno pensare alla capitale politica camerunese, allorché il terzo ha una vicenda ambientata in un quartiere chiamato «Madagascar », nella città di Yaoundé in Camerun. Per l’Italia si tratta di autori dell’odeporica sull’Africa, quali Gianni Celati[6] e Mario Domenichelli[7], senza escludere il trattato antropologico Diario dogon di Marco Aime[8]. La questione paesaggistica è affrontata in chiave globale e geografica, quanto aspetto e presentazione generale coinvolgente elementi fisici, biologici e antropici di questa particolare area del globo che costituisce l’Africa. Muovendo dalla testualizzazione del degrado, lo studio giunge a considerazioni varie sull’impegno degli scrittori presi in esame a favore dell’umanità e dell’ecologia non senza esaminare le forme di decadimento paesaggistico e le responsabilità umane del degrado.
I. La testualizzazione del degrado
E’ risaputo che secondo i formalisti russi (Vladimir Propp e altri), la letteratura è essenzialmente forma. Perciò, affermare che una determinata tematica è affrontata dal discorso letterario equivale a ritrovarla nel testo, cioè nelle strutture e nelle parole usate dallo scrittore, visto che forma e contenuto fanno tutt’uno nella concezione jakobsoniana[9]. Il testo significa con la sua espressione : la forma è il significato e il significato è nella forma.
Infatti, il declino del paesaggio africano emerge dal discorso degli scrittori camerunesi e italiani attraverso una serie di procedimenti linguistico-stilistici. Ad illustrarlo è il fatto che il narratore di Temps de chien, riferendosi a questa realtà africana, parla dell’ « ivresse du réel » (ubriachezza del reale) (p. 340). Si tratta di una metafora attraverso la quale il narratore descrive le condizioni di vita degradate degli abitanti del quartiere Madagascar della città di Yaoundé, scelta come quadro spaziale dell’azione romanzesca. Una popolazione che vive in un ambiente malsano, dominato dall’immondizia e da situazioni estreme di ogni genere, dalle uccisioni da parte della polizia ai traffici di organi umani, dalla povertà alla miseria e alla sofferenza.
Parlare dell’ubriachezza del reale equivale a indicare una relatà turbata, confusa, fuori dal suo normale ordine quotidiano, esattamente come avviene per una persona ubriaca, visto che l’ubriacarsi suppone un disturbo nella mente oppure uno squilibrio psicologico. La figura usata dal narratore per indicare il declino della realtà traduce bene le condizioni dell’ambiente in cui vivono gli abitanti del quartiere, inoltre lo stesso narratore assimila l’esistenza di questa popolazione ad un incubo (p. 341).
Quest’espressione di Nganang è molto vicina a quella usata dal narratore del romanzo di Mario Domenichelli quando parla dell’ « affondamento della barca » (p. 154) per alludere alla situazione della Somalia che diventa sacrosanto luogo di deposito dei rifiuti di tutti i paesi occidentali. Rifiuti chimici, industriali, tossici. L’affondamento della barca indica qui il declino della situazione ambientale e umana che, giorno dopo giorno, decade nel paese facendolo andare giù esattamente come una barca i cui angoli vengono cancellati ed ingoiati minuto dopo minuto durante un naufragio fino al vuoto completo della superficie dell’acqua. Il regredire della situazione somala è evidente in quest’espressione, ambiente e uomini compresi. E come accennato in precedenza, dopo l’affondamento non resta altro che il nulla.
Importante qui è il fatto che il discorso letterario riesca, attraverso un’espressione, a mettere in guardia l’umanità intera contro il vuoto che un giorno potrà verificarsi in Somalia, spazio geografico che rischia di diventare terra rasa al suolo per le condizioni umane e ambientali insopportabili e inaccettabili, esattamente come la superficie vuota di un mare in cui è appena scomparsa una nave naufragata. La situazione ha raggiunto una tale gravità che il personaggio domenichelliano di Malredondo la sottolinea con delicatezza espressiva : parlando di un gatto malandato visto per le strade somale, dice che «quel gatto mi dà la misura del senso e del non senso di ogni cosa… E’ come la Somalia, anche lui… e la Somalia… la Somalia » (p. 57).
Nella frase, si nota un procedimento triplo che puo’ esplicarsi quanto enfasi doppiata di similutine e di ellissi. Attraverso la ripetizione, l’enfasi riafferma la situazione di declino della Somalia descritta sopra, mostrando a che punto il personaggio ne situa l’ampiezza e ne considera la portata : per lui è una situazione cosi’ preoccupante che il nome del paese gli viene costantemente in mente, creando una certa angoscia. La similitudine assimila l’andatura deplorevole del gatto alla stessa situazione somala, come se ogni grigiore gli facesse ormai pensare alla Somalia. Con i molteplici puntini di sospensione, l’ellissi traduce chiaramente il fatto che la tristezza fa mancare al personaggio le parole per esprimerla perbene : preferisce semplicemente tacere ad osservarla e a pensarci. Per dire che la frase del personaggio percorre i vari aspetti del declino del paesaggio somalo.
Tutto sommato, notiamo nella presentazione del problema del paesaggio africano nei vari volumi, un discorso fortemente figurato in cui domina la metafora. Un fatto non del tutto casuale : la metafora è il tropo per eccellenza, ossia non solo la figura retorica più adatta per tradurre la complessità e la delicatezza dei significati, ma anche quella con il massimo degli effetti estetici. Basta pensare al film Il postino di Massimo Troisi[10], in cui la scoperta e la costruzione delle metafore pemettono al protagonista di raggiungere più facilmente il suo traguardo sentimentale.
Non va dimenticato in questa testualizzazione del degrado del paesaggio africano, l’uso di termini locali quali baqshiish, parola somala usata ripetutamente nel volume di Domenichelli (per la sola pagina 15 se ne trovano tre occorrenze) per indicare sia l’elemosina chiesta dai mendicanti e dai bambini sofferenti ai passanti quanto il compenso chiesto quotidianamente per servizi vari. Un termine che esprime la povertà e la miseria in cui vivono gli abitanti. Lo stesso titolo del romanzo, Lugemalè entra a far parte dello stesso procedimento, è parola somala che significa, come spiegato nel risvolto di copertina, che «la luce non c’è», a tradurre l’oscurità o la situazione tenebrosa in cui si trova questa parte del continente africano.
Diremo allora che la testualizzaione dà la misura e la proporzione del decadimento del paesaggio africano nei testi considerati, oltre a rafforzare l’estetica di questi ultimi. E’ la testimonianza del fatto che il discorso letterario si è veramente impossessato della tematica ecologica e l’ha fatta sua. La varietà e la complessità delle forme non è che il riflesso dell’ampiezza data al problema, visto che l’espressione letteraria finisce col « far male alle mascelle » e dare sufficiente filo da torcere al lettore comune per l’accesso ai significati, corrispondendo al principio jakobsoniano secondo il quale « la forma letteraria esiste ed è piena quando ci è difficile percepirla, quando sentiamo che la materia discorsiva resiste alla comprensione » (Huit questions de poétique, p. 13). Lo stesso studioso russo precisa che « le parole e la loro sintassi, la loro significazione, la loro forma esterna e interna non sono indizi indifferenti della realtà, ma possiedono peso e valore propri. » (ibidem, p. 46). D’altra parte, la serietà del degrado oggetto del discorso degli scrittori, riflessa dalla pienezza della forma letteraria, viene dal fatto che detto declino colpisce due questioni fondamentali per l’esistenza umana : l’ambiente e le condizioni vitali.
II. Le forme del degrado
Il decadimento del paesaggio naturale è evidenziato nei testi prima di tutto dall’accumulo dell’immondizia, un elemento la cui presenza avvelena l’aria e la rende impura. Fa parte degli elementi tossici che rendono la vita umana difficile. Il narratore di Patrice Nganang parla delle « montagne di rifiuti » (p. 185) per presentare questa realtà. La metafora oppure l’iperbole usata nell’espressione per indicare i tumuli formati dall’immondizia indica chiaramente che il personaggio manifesta qualche meraviglia di fronte al fatto, segno della sua gravità. L’unica cosa che gli resta da fare è renderlo meno pesante attraverso eufemismi tali il « profumo dei rifiuti » (p. 185) o « l’infinita canzone delle mosche » (p. 186), animaletti richiamati dagli odori fetidi provenienti dai rifiuti. Più che diminuire la veemenza del fatto, l’eufemismo la aumenta : è il modo proprio della letteratura di consolarsi e alleggerire la propria forma di fronte ad un fenomeno per il quale il personaggio non può far altro che limitarsi a deplorarlo.
Il degrado ambientale viene anche dallo sfruttamento eccessivo delle risorse, sottolineato in Avventure in Africa di Celati il cui potagonista, attraversando il Senegal, vede «treni carichi di legna» (p. 110). Generalmente nei paesi africani, questa legna caricata sui treni (potrebbe anche essere sui camion) è proprietà delle società di sfruttamento forestale, convogliata verso i punti di trasformazione o verso i porti per l’esportazione. E’ la distruzione della natura africana, della foresta equatoriale che contribuisce alla protezione dello strato di ozono il quale rende possibile la vita umana sulla terra. Lo stesso protagonista celatiano ironizza sul turismo occidentale in Africa, volto più che altro alla ricerca delle materie prime mentre il personaggio di Eddie, a proposito dello stesso sfruttamento ad oltranza, dichiara in Trop de soleil tue l’amour quanto segue : «Avec le pétrole et le bois, c’est un complot des Français pour clochardiser à jamais les Africains et les tenir en laisse (Con il petrolio e il legno, è il complotto dei Francesi per imbarbonire per sempre gli Africani e tenerli al guinzaglio)» (p. 55).
Questo vale a dire che lo sfruttamento delle materie prime è il mezzo per eccellenza di distruzione dell’ambiente naturale africano oltre all’accumulo dei rifiuti. E alla base di questo fenomeno si trova il commercio : se si è riusciti a realizzare che trentamila elefanti d’Africa sono stati uccisi nel solo anno 2012 per il loro avorio destinato al commercio (Giornale Euronews, 30 agosto 2013, ore 21.30), Moravia osservava già nel volume Passeggiate africane quanto a Libreville in Gabon, la festa di Capodanno fosse quella «dell’utopia neocolonialista [e] neocapitalistica», parlando di un «Capodanno del petrolio! Del manganese! dell’uranio! Del rame! Del ferro! Dell’oro! Dei legni pregiati…»[11]. Il romanziere italiano attirava allora l’attenzione sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali africane con le sue conseguenze future. Una natura distrutta ugualmente dall’inquinamento attraverso i prodotti tossici convogliati da altri continenti, come sottolinea il narratore di Lugemalè a proposito della Somalia (p. 154).
Il declino del paesaggio umano, o meglio delle condizioni di vita, si traduce nei volumi con le malattie portate sia dall’inquinamento che dai rifiuti di ogni genere. Con la distruzione della natura protettrice della vita umana, si degrada anche l’uomo. Le malattie arrivano permanentemente come il «paludismo e l’ameba» menzionate nel volume di Celati (p. 113), dovute alle pessime condizioni ambientali. Alle malattie si aggiungono la miseria e la sofferenza che producono il diffondersi di mendicanti e ladri (Avventure in Africa, p. 113 e p. 132). Questi flagelli sono tali da spingere alcune persone al suicidio, come il personaggio di Temps de chien che vuol farla finita con la vita perché non ne può più dalla sofferenza (p. 72) proprio perché, come indica il titolo del romanzo, i personaggi vivono tempi orribili, tempi appunto da cani. Sarà anche la ragione per la quale il personaggio di Georges, di origine europea, dice al tassista locale del volume Branle-bas en noir et blanc che il suo paese (paese del tassista le cui indicazioni rinviano al territorio camerunese) è « una mostruosità » (p. 17).
Dello stesso degrado umano sono segno la corruzione, indizio della decadenza della coscienza. Ragione per cui tutto è fattibile in Somalia attarverso il baqshiish cioè la « tangente » o la « bustarella » per « ungere le ruote » (per dirla alla Moravia) e ottenere rapidamente quanto voluto nelle situazioni quotidiane. Non mancano all’appuntamento di questo malessere umano il traffico di organi umani, sottolineato con forza dal protagonista di Temps de chien (p. 144) e il decadimento politico-economico. Da una parte, si notano uccisioni di ogni genere per motivi politici. Il personaggio domenichelliano di Abdulkadir, parlando italiano con accento somalo (è studente e poliziotto), dichiara in proposito che : «Era un bosto bello una volta la Somalia… una volta ! Adesso… trabba morde, trobba… Si deve bartire… Bresdo… (…) Se resti muori, ti amassano!» (p. 87). Dall’altra, si verificano scandali finanziari che rovinano l’economia, aggiunti agli intrallazzi tra dirigenti e multinazionali : il personaggio di Eddie riassume questo degrado umano del continente africano con la seguente dichiarazione : «Chez nous le Chef d’Etat fait dans l’évasion des capitaux, ministres et hauts fonctionnaires dans l’import-export et autres buisiness pas toujours honnêtes, curés et évêques dans le maraboutisme, assureurs et banquiers dans l’extorsion de fonds comme des gangsters, les écolières dans la prostitution (…) on fait tout dans l’escroquerie (Da noi il Capo di Stato si occupa dell’evasione dei capitali, ministri e alti funzionari si occupano d’importazione e esportazione dei prodotti e altri affari non sempre chiari, preti e vescovi di maraboutismo, assicuratori e banchieri di estorsione del denaro come dei gangster, le ragazzine di prostituzione (…) tutto si fa nella truffa)» ( p. 224). Infatti, tutto diventa inganno e perdita di buonsenso come nota il personaggio. Ma chi sono i veri attori di questo degrado del paesaggio africano ?
III. Gli attori del degrado
Gli scrittori camerunesi e italiani addittano due attori (o autori) principali del problema africano : i dirigenti e l’Occidente. I dirigenti africani stanno alla base del declino con lo stato e i suoi metodi di governo che il più delle volte proteggono gli interessi delle società occidentali che non quelli del popolo. Il narratore di Nganang parla in questo proposito di «Etat kleptomane (Stato cleptomane)» e di «Etat-Escroc (Stato imbroglione)» e torna insistentemente sulla figura del « Presidente della Repubblica » (pp. 342-343). Allo stesso modo, il nome del Presidente Barre torna regolarmente nel volume di Domenichelli come responsabile principale della situazione somala (pagine 126, 128, 137, 167). Se il narratore allude a «uno di [loro], un professore, massacrato a bastonate dalla polizia di Barre, senza che se ne potesse dare una qualsiasi spiegazione logica…» (p. 50), il personaggio di Mino, di origine italiana, osserva, anche se in un italiano regionale, che «Co Barre nun se negozia, è immorale!» (p. 167).
Questi dirigenti sono sostenuti dall’Occidente e soprattutto dalle multinazionali, agenti principali dello sfruttamento delle risorse e dei traffici delle armi. Nel caso somalo, l’Italia è l’attore principale nascosto dietro il presidente Barre, a detto del personaggio di Marco che osserva :
E insomma la Somalia, strano a dirsi perché è un paese poverissimo, è una gran mangiatoia, una delle più capaci e redditizie nella storia dell’affarismo italiano. Ci hanno fatto, o finto di fare, qualsiasi cosa, in realtà ci hanno fatto quattrini. Eh be’, la Somalia… niente di diverso dall’Italia, solo che il tutto qui viene condotto in modo più sfacciato, senza falsi pudori. E’ una specie di parodia… o una tragedia […] Un grosso affare, un affare magico, anche perché la Somalia, il Presidente Barre, mica ce li ha i denari per comprare le armi, eppure le ha comprate e le compra lo stesso, e con che soldi ? Eh be’, con i soldi italiani che comprano armi italiane. Sicché noi gli diamo sia le armi che i soldi per comprarle. (pp. 125-126)
D’altronde, i compratori d’oro incontrati in senegal dal protagonista di Avventure in Africa sono canadesi, mentre nelle « montagne di rifiuti » del volume di Nganang dominano scatole «Made in America» (p. 186). Tutto quanto significa che l’Africa è dominata dalle multinazionali, dalle europee alle americane, che intrattengono molti legami con i dirigenti. E se c’è sofferenza e degrado, vale a dire che il popolo è dimenticato nel gioco degli interessi : a giustificarlo è la sorta di rabbia o nervosismo che dimostrano i personaggi dei volumi parlando di questi attori della decadenza dell’Africa. I termini usati nella loro designazione sono peggiorativi e si va fino all’invettiva in alcuni casi. Un personaggio di Temps de chien, che fa parte del gruppo dei bevitori, dice a proposito dei dirigenti : «Oui, ils foutent notre pays en l’air (…) Ils pillent nos richesses, ils anémient notre économie (…). Des chiens, ils sont tous, rien que des chiens (…) ce sont des imbéciles (…) C’est eux seuls les véritables responsables de notre décadence (Sì, ci mettono tutto il paese sottosopra (…) saccheggiano le nostre richezze, anemiano la nostra economia (…) Cani sono tutti, nient’altro che cani (…) imbecilli sono (…) sono i soli veri responsabili della nostra decadenza)» (pp. 290-291). Il personaggio di Thomas Malredondo del romanzo di Domenichelli, a proposito degli Occidentali, si rivolge al narratore-protagonista in questi termini :
Ma smettiamola con questi luoghi comuni (…) Stalin, il socialismo reale…Ma non ti accorgi del mondo in cui viviamo noi, quello, se vuoi, del capitalismo reale?... ma è possibile che tu non ti accorga, proprio, di quel che succede, di quel che succederà?... E non lo sai, non lo sappiamo che nella libertà del mondo capitalista del libero mercato, tre quarti, o più, del mondo crepano letteralmente di fame? Che tutto è diventato merce? Che tutto è diventato merce, che l’aria, l’acqua, sono divenuti merce, che il corpo è merce? Bel sistema abbiamo creato e nutrito : ci sono paesi in cui i bambini vengono sfruttati integralmente, massacrati di lavoro, o venduti un tanto al pezzo, tenuti vivi senza questo o quello, come banche d’organi o sfruttati sul mercato della pornografia e della prostituzione (…) Ma non lo vedi che stiamo vampirizzando il resto del mondo, che siamo una civiltà cannibalesca (…) Meglio l’Islam allora, con la sua barbarie, come la vediamo noi, che noi con le nostre ipocrisie e i nostri orrori. Noi siamo uno schifo. (pp. 22-23)
L’invettiva mostra apertamente che gli autori sono contro la dipendenza dell’Africa dalle multinazionali occidentali. Un fenomeno già denunciato dal sociologo svizzero Jean Ziegler nel suo trattato Main basse sur l’Afrique, in cui osservava che gli stati africani non fossero altro che apparecchi di coercizione totalmente investiti dai dominatori stranieri, governati unicamente da « mercenari, uomini e donne formati nei centri del capitale finanziario egemonico aventi come unica funzione di garantire le condizioni ottimali di sfruttamento ad oltranza del lavoro umano e delle risorse naturali »[12].
IV. L’impegno degli scrittori
Il degrado oggetto del discorso degli scrittori camerunensi e italiani del presente studio fa di loro autori impegnati. Infatti la loro scrittura (nel senso in cui la intende Barthes[13]) si schiera chiaramente contro la distruzione della natura e dell’uomo africano da parte degli Occidentali, contro la disumanizzazione del suddetto continente, culla dell’umanità come si usa dire. Si tratta di un discorso letterario che si affida una certa funzione, quella di denunciare gli abusi sulla natura nel mondo in generale, mettere a nudo l’inquinamento delle abitudini e l’immoralità ai fini dello sviluppo del grande capitale, al fine di garantire l’esistenza umana sulla Terra. Se il caso della Somalia in quanto «una delle pattumiere del mondo» (Lugemalè, p. 154) resta d’attualità (tutt’ora sono addittati industriali italiani e basti visitare due siti internet o stare attenti ai media per misurare l’ampiezza del problema), la catastrofe ambientale e umana avvenuta in Costa d’Avorio fra agosto e settembre 2006 con il Probo Koala, la famosa nave portatrice di rifiuti petroliferi che ha scaricato oltre cinquecento tonnellate di rifiuti tossici nel porto di Abidjan causando numerosi morti e decine di migliaia di intossicati, è ancora fresca nelle memorie. Tutte realtà che ogni giorno eliminano numeri considerevoli di africani senza proccupare minimamente il concerto delle nazioni industrializzate.
Il mettere a nudo l’affarismo occidentale nascosto dietro i governi dei vari paesi africani non ostacola per niente la critica delle stesse nazioni occidentali per alcune pratiche malsane. A proposito dei soldi per comprare armi in Somalia, il personaggio di Marco nel volume di Domenichelli dice : «soldi per la cooperazione militare (italiana). Uno scherzetto notevole con un bel giro di tangenti, quattrini, commesse, percentuali» (p. 126). Il personaggio allude a tutto quanto viene indicato in Italia con la denominazione « scandali finanziari » per appalti pubblici e altre operazioni. Un fenomeno che ha particolarmente colpito la regione Lazio, per esempio, sul finire dell’anno 2012, causando perfino le dimissioni della Presidente della Regione.
La letteratura vorrebbe dunque recitare la sua parte nella denuncia della catastrofe ecologica del pianeta, « entrare nel vivo delle questioni morali o etiche, enunciate concretamente e collettivamente » con l’intento di far sentire la sua « visione dell’uomo e del mondo »[14] di fronte alle problematiche dell’umanità. Malgrado il Camerun e la Somalia siano due realtà africane estremamente diverse e opposte, gli scrittori arrivano a trovare un punto comune nella questione socio-ambientale. Punti di vista spazialmente distanti trovano convergenze sul problema del paesaggio africano, segno dell’importanza della questione, che non traduce nient’altro che la comunanza delle inquietudini per il futuro dell’umanità in rapporto ai cambiamenti climatici.
Come dice il protagonista di Trop de soleil tue l’amour, la letteratura è animata da uno spirito anticonformista (p. 26), e dalla provocazione nei confronti del grande capitale occidentale che sta asfissiando il mondo e che ha il proprio simbolo oggi nelle grandi società americane. L’antropologo italiano Marco Aime ha dunque ragione di preoccuparsi della «Mcdonaldizzazione del mondo, [della] omogeneizzazione del mondo che mette in crisi le identità e le appartenenze tradizionali»[15], che conduce a ciò che Jean Pierre Warnier chiama la « mondializzazione della cultura »[16]. Detta cultura « mondializzata » è essenzialmente mercantile e capitalistica e impedisce ogni controllo di sé e del proprio agire, ostacola la morale e il riconoscimento delle peculiarità dei popoli : la diversità delle culture può contribuire a salvare il mondo con i vari modi di fare e di pensare, senza dimenticare i diversi modi di definire il rapporto con la natura. Non a caso nel 2005 l’Unesco ha votato una Dichiarazione Universale sulla diversità culturale, confortando la posizione di Ulf Hannerz, il quale precisa che la
diversità culturale potrebbe anche essere vista in una dimensione ecologica. Se le culture comportano orientamenti diversi nei confronti delle limitate risorse ambientali del mondo, e perfino differenti modi di conoscenza di queste, potrebbe risultare vantaggioso per la nostra soppravvivenza (…) Se la nave spaziale terra è la casa che dobbiamo condividere, potrebbe essere meglio non avere cabine in comune.[17]
Gli scrittori camerunesi e italiani vorrebbero allora farsi cantori e difensori della diversità dei popoli e delle culture, possibile arma per lottare contro la temuta « coca-colonizzazione del pianeta », a detto del Warnier (p. 17) e prevenire il futuro climatico incerto della Terra che crea preoccupazioni in tutti i paesi del mondo. Abbiamo a che fare con un discorso letterario in cerca della propria essenza attraverso la quale gli scrittori vogliono « salvare i loro rapporti con il mondo e con sé stessi »[18]. Stando allora al discorso degli autori camerunesi e italiani, concluderemo, come osservano Loredana Chines e Carlo Varotti, che «nulla impedisce naturalmente di usare i testi letterari come mera testimonianza di qualcosa che appartiene al contesto storico in cui essi sono stati prodotti (per ricavarne magari indicazioni su aspetti della storia del costume, sulla diffusione di idee, sulla mentalità).»[19]
Riferimenti bibliografici
AIME Marco, 2000, Diario dogon, Torino, Bollati Boringhieri.
Anonimo, «Affaire du Probo Koala», RFI.fr, stampato il 26 agosto 2013, sito web: http://www.rfi.fr/actufr/articles/086/article_49647.asp
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ZIEGLER Jean, 1978, Main basse sur l’Afrique, Paris, Edition du Seuil.
[1] Colbert Akieudji, Docteur en études italliennes, Coordonnateur du Centre Italien de l’Université de Dschang (Cameroun).
[2] Ci si riferisce qui alla nascita del partito dei Verdi di Francia nel 1982 e alla nascita dei partito dei Verdi in Italia nel 1986.
[3] Mongo Beti, 1999, Trop de soleil tue l’amour, Paris, Julliard.
[4] Mongo Beti, 2000, Branle-bas en noir et blanc, Paris, Julliard.
[5] Patrice Nganang, 2007, Temps de chien, Paris, Privat/Le Rocher.
[6] Gianni Celati, 2000, Avventure in Africa, Milano, Feltrinelli.
[7] Mario Domenichelli, 20005, Lugemalè, Firenze, Polistampa.
[8] Marco Aime, Diario Dogon, 2000, Torino, Bollati Boringhieri.
[9] Roman Jakobson,1977, Huit questions de poétique, Paris, Seuil, p. 14.
[10] Massimo Troisi, 1994, Il postino.
[11] Alberto Moravia, [1987] 2002, Passeggiate africane, Milano, Bompiani, p. 71.
[12] Jean Ziegler, 1978, Main basse sur l’Afrique, Paris, Edition du Seuil, p. 30.
[13] Roland Barthes intende la come il rapporto tra creazione e società, il linguaggio letterario trasformato dalla sua destinazione sociale, la forma considerata nella sua intenzione umana e legata alle grandi crisi della storia (vedi Barthes Roland, 1972, Le degré zéro de l’écriture, suivi de Nouveaux essais critiques, Paris, Seuil, p. 14)
[14] Benoît Denis, 2000, Littérature et engagement, De Pascal à Sartre, Paris, Seuil, p. 34.
[15] Marco Aime, Diario Dogon, 2000, Torino, Bollati Boringhieri, p. 96.
[16] Jean Pierre Warnier, 2007, La mondialisation de la culture, Paris, La Découverte.
[17] Ulf Hannerz, 20001, La diversità culturale, Bologna, Il Mulino, p. 93.
[18] Maurice Blanchot, 1955, L’espace littéraire, Paris, Gallimard, p. 21.
[19] Loredana Chines e Carlo Varotti, 2003, Che cos’è un testo letterario, Roma, Carocci, p. 23.