Carnet n°3 / Bibliothèque

Donne e sud. Percorsi nella letteratura italiana contemporanea

Sara Faccini

Résumé

intorno a :

Ramona Onnis e Manuela Spinelli (a cura di), Donne e sud. Percorsi nella letteratura italiana contemporanea, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018.

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Nel 2003 Adriana Chemello, riflettendo sulla scrittura delle donne e sul canone letterario, sottolineava la necessità di trovare  nuove metodologie di analisi in grado di situare la presenza della donna in un orizzonte critico corretto  e di “lavorare per costruire una tradizione di studi della letteratura delle donne e parallelamente trovare i canali e le modalità perché questa tradizione si affermi e diffonda”[1]. Un orizzonte etico teorico all’interno del quale si muovono molte studiose e diversi studiosi e nel quale si inserisce il recente volume collettaneo Donne e sud. Percorsi nella letteratura italiana contemporanea curato da Ramona Onnis e Manuela Spinelli e recentemente pubblicato da Franco Cesati Editore con il contributo del Centro di Ricerca Cellam e di Rennes Métropole.  Scopo primario del volume è quello di riflettere e sollecitare riflessioni a partire dalle nozioni di “Sud” e “donne” -  soprattutto dai loro legami e dalle loro articolazioni - attraverso i lavori di sei studiose e due studiosi e, accanto a loro, due scrittrici che riflettono sulle loro scritture e le loro genesi.                                                                                                                Sin dalle prime righe dell’accurata Introduzione, Onnis e Spinelli precisano qual è la  nozione di “Sud” che attraversa il volume: “Sud” quale luogo dell’ immaginario collettivo che ha invaso un mondo dominato da una globalizzazione che, se da un lato sembra rimettere “in discussione i confini e le separazioni nette, dall’altro [lega] ancor più il destino delle persone alla polarizzazione Nord/Sud”, i cui effetti gravano in particolare sulle donne e le loro esistenze. Ed è a partire da quest’ultimo assunto che il volume si focalizza  “su come le rappresentazioni, gli stereotipi, l’identità stessa delle donne, siano influenzati dall’appartenenza al Sud, e su come la scrittura letteraria italiana contemporanea costruisca questo tipo di interazione”. Puntualizzato il concetto di “Sud”, le curatrici si soffermano sulla scelta del plurale di “donne”, frutto di riflessioni teoriche precise e mossa dalla convinzione che l’uso del plurale permette di decostruire il “paradigma patriarcale essenzialista, che da secoli rappresenta le donne come esseri a un’unica dimensione” e, in secondo luogo, di verificare “l’evoluzione del pensiero femminista che si è dimostrato via via più […] cosciente dell’importanza di aprirsi alla pluralità dell’essere donna”. Come riferimenti teorici, vengono ricordati i lavori di Silvia Federici, bell hooks, Rosi Braidotti, Adriana Cavarero e Adrienne Rich, ossia quelle pensatrici femministe che in maniera particolarmente acuta e illuminante hanno problematizzato la differenza tra l’uso del termine “Donna” e “donne” e gli impianti teorici e posizionamenti politici che li sostengono e avallano.                                                                           Il volume si apre con il saggio di Anna Mirabella la quale rilegge (e completa) le analisi di Ernesto De Martino da un punto di vista di genere auspicando che tale prospettiva possa rivalorizzare alcune categorie demartiniane e con l’intento di problematizzare la presenza femminile di lamentatrici e tarantate che De Martino non tematizzò poiché, come ricorda la sua allieva Clara Gallini, “della follia non si può fare storia”[2].                                                                                    Il concetto di cura è, invece, ciò che guida l’analisi di Angela Biancofiore che con intensità riflette sull’urgenza di perseguire un’etica della cura che non va interpretata all’interno di un ruolo subalterno della donna bensì quale etica dell’interdipendenza e dell’alterità. Quasi quarant’anni fa Carla Lonzi scriveva di sentirsi estranea e ferita da un mondo che dà priorità al “potenziamento della condizione individuale […] a scapito dell’autenticità dei rapporti”[3], un mondo che oggi è sempre più dominato, come scrive Biancofiore, dall’ “illusione dell’autosufficienza” e che senza la cura e l’attenzione all’altra/o non potrà sopravvivere; ed è a partire da tale assunto che Biancofiore, nell’ambito di una poetica della relazione, concentra le proprie analisi sulle scrittrici Laila Wadia, Christiana de Caldas Brito e Comasia Aquaro, che nei loro romanzi tematizzano la nozione di cura interpretandola come apertura verso le altre e gli altri e reale vicinanza ad essi. Troviamo molto interessante la prospettiva teorica e politica adottata da Biancofiore che, interpretando i testi secondo prospettive ecofemministe, ci dà un esempio di decolonizzazione delle menti.                                                                        Esercizi interpretativi critici che proseguono attraverso gli altri saggi che compongono il volume. Serena Todesco accosta il lavoro della fotografa Letizia Battaglia - che mappa la Sicilia e in particolare Palermo - ai romanzi delle scrittrici Elvira Mancuso, Maria Occhipinti e Gisella Modica accomunati da una “tematizzazione del rapporto tra le donne e gli spazi” che mostra lo spazio privato e quello pubblico quali “sfaccettature di simili resistenze e mobilitazioni”: la casa in cui Mancuso apre un corso in cui le ragazze “imparano a diventare donne, prima che moglie madri” e le strade attraversate dai corpi delle donne descritte da Occhipinti e Modica mostrano uno spazio che è, come evidenzia Todesco, “una sfera continua dove coesistono diverse traiettorie umane e costruzioni sociali”. Luoghi che, con  la loro imprevedibilità, rievocano il “sito di resistenza” di bell hooks dove si impara “a stare al mondo con dignità, con integrità”[4] o la stanza dei telai che nella rilettura di Cavarero diviene (o ritorna?) il luogo in cui Penelope insieme alle ancelle “ritaglia del tempo e un luogo imprevisti”[5]e altri rispetto ai codici maschili e patriarcali.                           Un’importante scrittrice sicula – quanto non ancora adeguatamente studiata, nonostante la vastità della sua opera - è al centro del saggio di Emanuele Broccio che, con acume e attingendo alle teorizzazioni sviluppate all’interno della poetica cognitiva, indaga la produzione poetica di Jolanda Insana. Broccio si sofferma e riflette sul modo in cui Insana utilizza la metafora della pupara che da “personaggio sottomesso” diventa “protagonista indiscussa dello stesso atto creativo”, attraverso una poetica volta a scompaginare schemi mentali e letterari e a rivendicare un ruolo della donna nella poesia e nell’attività letteraria. Nella poesia del 1982 Fendenti fonici, con amarezza Insana scrive: “dietro la fortuna de romanzo e della poesia/ non ci sarà mica una questione di misoginia?”[6]; un’accusa che, come osserva Broccio, in “altri segmenti lirici […] non esita a investire alcuni nomi della più autorevole storia critica italiana”, ossia i critici Croce, De Sanctis e Mengaldo. Nomi che, se si pensa alla loro attività di critici militanti, portano al bel saggio di Silvia Contarini che analizza i romanzi Una donna e L’arte della gioia, le cui autrici non sono aliene dai dispositivi che a lungo (e tutt’ora) escludono e stigmatizzano le scritture femminili. Contarini con acutezza problematizza i romanzi delle scrittrici:  sottolinea come Sibilla Aleramo e Goliarda Sapienza riescano a mettere “in evidenza le dinamiche dell’appartenenza spaziale (Sud) e sessuale (donna)” proponendo “soluzioni che variano dall’emancipazione alla liberazione” e suggerendo che “il destino delle donne, la loro condizione, la loro felicità, sono da relazionare innanzitutto all’ordine patriarcale che si riflette tanto nelle strutture quanto nelle norme interiorizzate”.                                                                                                                                      Del destino delle donne e della loro  condizione, narrano senz’altro i romanzi di Elena Ferrante, la cui scrittura viene analizzata nell’interessante saggio di Nadia Setti che, a partire da La frantumaglia, ripercorre l’opera della scrittrice riflettendo sull’immagine materna stereotipata quanto radicata al sud - una madre vecchia e santa – che Ferrante indaga in particolare ne L’amore molesto.  Accanto all’origine materna, anche quella geografica riveste una funzione importante nella produzione di Ferrante che, come evidenzia attentamente Setti, “non annulla il paradigma Nord/Sud”, come non annulla tutti gli altri paradigmi di genere e di classe” bensì “li sfrutta per indagare […] le strutture socio-economiche e culturali di un luogo variamente circoscritto ed esteso”.                                                                                                                                   

Maternità e Sud accompagnano anche le riflessioni di Ramona Onnis che ripercorre la trilogia dei Chironi di Marcello Fois, una saga famigliare che abbraccia oltre un secolo. Onnis evidenzia gli aneliti alla modernità e gli stereotipi che accompagnano le esistenze dei personaggi e delle personagge della trilogia, indagando il modo in cui “l’appartenenza e l’identità geografica - la Sardegna - influenzino i destini e i comportamenti” delle donne foisiane e come queste reagiscano “alle trasformazione della storia e all’avvento della modernità”.                                        

        Grazie all’analisi di Onnis, si  può riflettere come Fois, oltre a tratteggiare personaggi femminili determinati e sfaccettati, riesca a far sì che nelle sue storie qualsiasi lettore e lettrice si riconosca, indipendentemente dalla provenienza geografica.                                                                      Con l’articolo di Daniele Comberiati ci si sposta invece nel panorama delle nuove narrazioni del Risorgimento, nello specifico, su La briganta di Maria Rosa Cutrufelli e Coccarde rosse di Annalisa Bari, due narrazioni che, come scrive lo studioso, “ibridano i generi e mostrano la porosità delle rappresentazioni delle brigantesse”. Molto interessanti sono i due nodi che, analizzando i romanzi,  Comberiati mette in evidenza, ossia: “il binomio in cui la liberazione delle brigantesse è messa in relazione con la posizione femminile attraverso una prospettiva storica”e, in secondo luogo, l’abilità con cui le scrittrici mettono in discussione il canone letterario a partire dalla tematiche e dai soggetti scelti.                                                                                                            

                   Il ricco volume si conclude con le interviste a due scrittrici: Shririn Ramzanali Fezel e Maria Rosa Cutrufelli. Nell’intervista alla scrittrice di origini somalo-pakistane, Angelica Pesarini si  concentra sul romanzo Nuvole sull’equatore, evidenziando, grazie a una prospettiva intersezionale, il modo in cui nelle esistenze delle protagoniste il dato di genere si intrecci con la problematica razzista. La rappresentazione delle donne e, in particolare, delle donne che lottano contro gli stereotipi per una reale liberazione a partire da sé è ciò che muove e caratterizza anche le narrazioni di Cutrufelli che ci ricorda come la “Storia sia un meraviglioso deposito di storie”. Quelle storie e, con loro, quelle scrittrici e poete, che spesso la tradizione patriarcale e un canone letterario misogino hanno silenziato o emarginato ma che studi come quelli raccolti in questo volume ridanno loro la voce e la rilevanza che meritano.

 

[1] A. Chemello, Quale canone per quale storia letteraria, in A. M. Crispino (a cura di), Oltrecanone. Generi, geneaologie, tradizioni, Roma, Iacobelli, 2015, p. 40.

[2] C. Gallini, Presentazione, in E. De Martino, La terra del rimorso, Milano, Il Saggiatore 2013, p. 17.

[3] C. Lonzi, Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, Milano, et al./Edizioni, 2011, p. 9. 

[4] Bell hooks, Elogio del margine. Razza, classe e mercato sessuale, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 26.

[5] A. Cavarero, Nonostante Platone, Verona, Ombre Corte, 1990, p. 25

[6] J. Insana, Fendenti fonici, in Ead., Tutte le poesie (1977-2006), Torino, Garzanti, 2007, p. 137.

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Maddalena Marchetti

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