N°4 / Letteratura e lavoro in Italia. Analisi e prospettive

Giuseppe Nencioni, Il posto fisso.Rassegnazione, impresa e romanzi

Gerardo Iandoli

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Gerardo Iandoli

(Aix-Marseille Université)

Intorno a :

Giuseppe Nencioni, Il posto fisso. Rassegnazione,

impresa e romanzi, Canterano (RM), Aracne, 2016

 

L’espressione presente nel titolo, “posto fisso”, non deve trarre in inganno il lettore: non si tratta di un volume sul lavoro impiegatizio o, almeno, non in maniera esclusiva. Infatti, bisogna considerarla come un’immagine capace di chiarire alcuni aspetti di un certo mito meridionale: l’espressione “posto fisso” viene generalmente utilizzata per indicare il lavoro statale, particolarmente preferito dalle persone del Sud Italia (p. 23). Il lavoro statale, infatti, rappresenterebbe un’entrata fissa e certa, capace di garantire un’esistenza sicura senza troppe variazioni all’interno del ritmo di vita quotidiano. L’esigenza di sicurezza nasce, questa la tesi di Nencioni, da una «sensazione di essere vittima impotente» (p. 8) particolarmente diffusa tra le popolazioni del Sud, che non si aspettano «nulla di buono dal futuro e dal cambiamento proposto da chi ha il potere» (p. 16).

I due riferimenti teorici, al riguardo, più importanti, citati nel testo, sono The moral basis of a Backward Society, ricerca del 1954-1955 del sociologo americano Edward Banfield (p. 17) e i lavori risalenti agli anni Novanta di Robert Putnam (p. 128). In entrambi i casi si sostiene l’idea che il Sud Italia sia caratterizzato da una struttura chiusa, il “nucleo familiare”, che impedirebbe la collaborazione e la condivisione, ostacolando, quindi, la nascita di una struttura sociale solida. Ovviamente la tesi di tali testi è opinabile, come non manca di segnalare lo stesso Nencioni, rimandando all’opera di Salvatore Lupo, «il più feroce critico di Banfield e […] Putnam» (p. 17). Ciononostante, è esemplificativa di quell’atteggiamento da “vittimismo rassegnato” che è alla base dell’operazione teorica de Il posto fisso.

Da cio` deriva la mancanza di spirito imprenditoriale del popolo del Meridione, che non riuscirebbe a «rompe[re] gli schemi» (p. 11) e a far progredire il proprio territorio. Nencioni riprende le teorie economiche di Joseph Schumpeter che, a differenza di altri (come ad esempio Marx), dava molta importanza al dinamismo individuale per spiegare le mutazioni dei processi economici: il progresso, quindi, deriverebbe dalla capacità di singoli uomini di apportare innovazioni all’interno del mondo produttivo. L’assenza di una categoria sociale del genere condurrebbe alla stagnazione e quindi alla crisi economica. La sfiducia nel futuro tipica dell’uomo meridionale impedirebbe, quindi, qualsiasi tensione verso il nuovo, castrando così ogni possibile progresso. Da ciò l’arretratezza del Sud.

Come si è già avuto modo di dire all’inizio di questa recensione, Il posto fisso ha come obiettivo l’analisi di un mito, cioè di un certo modo di raccontare il Sud Italia. L’autore, grazie alle pagine introduttive, dona al lettore alcuni riferimenti sociologici ed economici per far comprendere meglio il contesto culturale di cui si sta parlando, senza però avere la pretesa di valicare i limiti del campo di studi principale: la letteratura. Di fatto, tutte queste informazioni hanno come fine l’individuazione, all’interno di una ricca selezione di autori, di passaggi testuali capaci di rappresentare l’atteggiamento rassegnato del popolo meridionale. Eppure, concentrandosi solo sull’analisi testuale, l’operazione di Nencioni sembra voler mostrare come lo strumento narrativo possa essere una risorsa utile anche a tutti coloro, non importa a quale campo appartengano, vogliano approfondire la conoscenza del Sud Italia. In tal modo, Il posto fisso, anche se indirettamente, può favorire il dialogo tra le varie scienze umane.

Il testo è suddiviso in tre capitoli, con un’ulteriore conclusione generale. I capitoli che formano l’ossatura del testo suddividono l’analisi in tre archi temporali: 1945-1968, 1968-1989 e 1989-2015, così da abbracciare quasi tutta la storia repubblicana. Gli autori analizzati nei vari capitoli sono molti, ma si possono riconoscere alcune opposizioni tematiche che permettono al lettore di orientarsi con maggiore facilità nei testi presi in esame. La prima opposizione, che è sicuramente la più importante, è quella tra autori del Sud e autori del Nord: anche se la copertina recita “Il caso del Sud Italia 1945-2015”, il confronto con gli autori settentrionali risulta fondamentale per far risaltare ancora di più le peculiarità degli autori meridionali: infatti, la letteratura del Nord non presenta quell’atteggiamento sfiduciato e disperato tipico della letteratura del Sud, così come si evince da una figura come quella di Faussone, personaggio di La chiave a stella di Primo Levi, che è «felice di lavorare, semplicemente» (p. 122). Nonostante la contrapposizione, un elemento comune, condiviso da tutti gli autori della penisola, è il non aver mai guardato con positività alla figura dell’imprenditore (p. 80).

Un’altra dualità molto forte, soprattutto nel primo capitolo dedicato agli anni del Secondo Dopoguerra, è quella tra Provincia e Città. Questo produce una differente narrazione degli spazi e delle relazioni, perché se nel primo caso ci si orienta attraverso paesaggi rurali e meccanismi sociali della comunità contadina, nel secondo caso ci si muove all’interno degli spazi angusti, sovraffollati, malsani e caotici dell’architettura urbana. E la città di questi autori è principalmente Napoli, (p. 53) la quale attira intorno a sé una letteratura specifica, dove si possono riconoscere tre filoni: la Napoli dei “miracoli”, quella “disperata” e, infine, la “rassegnata”, ma tinta di «poesia e dolcezza» (p. 60). La prima, su cui il critico non si dilunga, ama rappresentare i lati più surreali e magici di questa città ricca di storia, mentre la seconda è una Napoli «buia, miserevole, sofferente, tragica, violenta; popolata di figure infelici e senza speranza» (p. 54). L’ultima, invece, propone uno dei miti napoletani più noti: il popolo che si arrangia, anche attraverso soluzioni truffaldine o delinquenziali. Insomma, una cartolina sull’«arte di sopravvivere» (p. 61) partenopea.

L’ultima opposizione tematica riconoscibile ne Il posto fisso è quella tra lavoro contadino e lavoro in fabbrica, opposizione che nel primo capitolo è inscrivibile all’interno di quella tra Nord e Sud, per via del fatto che, ai tempi, solo il Nord poteva vantare una forza industriale tale da permettere la nascita di una cultura operaia e, di conseguenza, di una letteratura industriale. Solo dopo il 1968, così come è evidenziato nel Secondo Capitolo, gli autori del Sud iniziano a rappresentare la fabbrica, seppure in netta inferiorità rispetto ai colleghi settentrionali. E il Meridione, quando incontra la tematica industriale, parla anche di “emigrazione” (p. 110), discorso che non farà altro che acuirsi con la letteratura del precariato degli ultimi decenni.

Se il Secondo Capitolo mostra una letteratura che è in continuità con quella precedente, il Terzo introduce alcune interessanti novità: le rappresentazioni acquistano toni di denuncia, dovendo affrontare problematiche “violente” come le molestie sessuali sul posto di lavoro (p. 154) e gli incidenti causati dagli scarsi controlli sulla sicurezza o dall’uso di sostanza tossiche, come ad esempio l’amianto. Nel peggiore dei casi, tale letteratura diventa una riflessione sulle “morti bianche” (p. 155). Anche il termine “precariato” inizia a diffondersi, soprattutto nella letteratura degli anni Duemila, mostrando le difficoltà di una generazione giovane che è costretta a confrontarsi con modalità lavorative che non garantiscono più nessuna stabilità (p. 157).

Il dato più interessante che emerge dall’analisi di Nencioni è sicuramente questo perdurare, nonostante il trascorrere dei decenni, di un atteggiamento pessimista negli autori del Sud Italia. E tale rotta non è stata invertita neanche da alcuni pensatori contemporanei che hanno cercato di difendere la visione meridionale del mondo: un manifesto di tutto ciò è Il pensiero meridiano di Franco Cassano. Tale testo parla di un Meridione che non ha nulla da invidiare al Nord (intesto come Nord del Mondo), poiché anche il Sud sarebbe capace di trasmettere una cultura valida e solida, considerata minore solo perché non conforme allo stile di vita competitivo del mondo Occidentale. Quindi, i popoli del Meridione dovrebbero cercare di non sentirsi più «subordinati al Nord, di sentirsi il “non ancora Nord”» (p. 135).

Il testo è scritto in maniera molto chiara, rendendolo così uno strumento efficace per chi voglia avvicinarsi alla letteratura del lavoro senza aver mai prima letto niente al riguardo. Gli agili riassunti dei testi analizzati, inoltre, permettono al lettore di accedere a una vasta selezione di opere, spunto per letture e riflessioni future. Questo rende Il posto fisso particolarmente indicato per corsi universitari – ma anche per approfondimenti nelle scuole superiori – che vogliano introdurre gli studenti alla vasta tematica del lavoro in letteratura. Anche il mondo universitario non italofono, ma che ha a cuore le problematiche della società italiana, potrebbe facilmente muoversi all’interno della scrittura di Nencioni, entrando a contatto con autori noti e meno noti della letteratura italiana più recente.

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